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Don Fiorillo, la felicità è semplice e comincia a casa, in contatto con le persone

Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 22 maggio

di Mons. Giuseppe Fiorillo

Carissime/ i ,
con questa pericope (Gv 14,23-29) siamo in ascolto dei “discorsi d’addio”, contenuti nel Quarto Vangelo (cfr. Gv 13,31 – 16,39) e pronunciati, in forma confidenziale, da Gesù alla fine dell’ultima Cena, prima dell’arresto sul monte degli Ulivi.

“Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”

Nel Cenacolo, la sera del Giovedì Santo, c’è grande tristezza tra gli Apostoli, perché Gesù parla di un partire da questo mondo per ritornare al Padre e preparare un posto per coloro che osservano la sua parola.
“Osservare la sua parola”, in questo contesto evangelico, equivale ad amare Gesù ed in Lui il Padre a tal punto che Padre e Figlio verranno a prendere dimora nelle case degli uomini, dotati di buona volontà.
La tristezza diviene, così, gioia, quando Gesù annunzia, ancora, che il Padre manderà, in sua assenza, lo Spirito Paraclito per aiutare a fare memoria del suo operato nel tempo e ad insegnare a distinguere ciò che porta alla vita da ciò che conduce alla morte.
Lo Spirito mandato dal Padre, in nome di Gesù, guida la comunità ad accogliere, interpretare, trasmettere con fedeltà gli insegnamenti del Maestro, facendo sì che il Vangelo resti un libro vivo, fecondo e suscitatore di una fede dinamica e creatrice di novità in ogni situazione storica.

Noi oggi diamo dimora al Signore che passa e bussa alle nostre porte ogniqualvolta:

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