Riflessioni sulle pagine del Vangelo della Domenica delle Palme del 2 aprile
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime/i,
la domenica delle Palme ha due momenti importanti: uno di festa e l’altro di dolore.
Il primo momento ci presenta Gesù che vive gioioso il trionfo che gli viene tributato dalla folla che, al suo passaggio, stende i propri mantelli sulla strada, taglia rami d’ulivo e li sventola con tripudio e canta in coro: “osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore”.
Momento altamente umano, voluto da Gesù, dal momento che manda i suoi discepoli a chiedere in prestito, nel vicino villaggio, un’asina. Pronta l’asina, Gesù si mette a sedere sulla schiena dell’asina e si dirige verso Gerusalemme con un pizzico di ironia verso i potenti che vanno in città con veloci cavalli e, in sintonia con l’antico profeta: “dite alla figlia di Sion: ecco, a te viene il tuo re. mite, seduto su un’asina” (Zaccaria 9,9).
Il secondo momento apre le porte del racconto della Passione di Gesù.
La Passione non è soltanto la storia del passato, non è una semplice evocazione degli avvenimenti, è, invece, un perpetuare, nell’oggi, la storia tragica di duemila anni fa.
La realtà di questa storia è un “osanna” ed un “crocefigge”. Che mistero!
La folla oggi grida osanna, domani crocefigge.
In questa storia c’è l’umanità.
C’è gente che applaude e gente che condanna; gente che tradisce e gente che si pente e piange amaramente; gente che si dispera e va ad impiccarsi ad un albero; gente che emette sentenze inique e gente che, dinnanzi all’evidenza dell’innocenza, si lava le mani; gente che al giusto preferisce il ladro; gente che si vende e testimonia in tribunale il falso. Ci sono tutti: sacerdoti, donne, soldati, giusti e peccatori. E ci siamo anche noi!
E c’è Pietro, spavaldo, saccente, che nel Cenacolo attesta: anche se tutti ti dovessero tradire, io non ti tradirò mai e, dopo poche ore, si perde dietro le accuse di una servetta del tribunale del Sinedrio affermando “quell’uomo io non lo conosco”.
E senza saperlo Pietro dice la verità: veramente non lo conosceva bene!
Come noi del resto. Noi non conosciamo la profondità e la larghezza del messaggio di Gesù. Se veramente lo conoscessimo la nostra vita e le nostre realtà, nelle quali viviamo, avrebbero una dimensione diversa, più accogliente, più benevola verso le ferite dell’umanità.
E c’è Giuda che si sente tradito da Gesù (voleva un capo popolo!), tradito dal Sinedrio e getta le monete del peccato nel Tempio e va ad impiccarsi, nella notte, ad un albero.
Il tradimento è partito da Giuda, ma poi si allarga ai discepoli che, davanti alla minaccia del pericolo “lo abbandonarono tutti e fuggirono” (Mt.26,56).
E c’è un processo, anzi tre processi ci sono: il processo religioso, fatto di notte, quando di notte per la legge ebraica era vietato; un processo politico, gestito malamente da Pilato; un processo popolare, manipolato dai capi del popolo.
Gesù è sotto processo. Tutti, ogni giorno, siamo sotto processo, perché rinviati a giudizio da falsi amici, da nemici, dalle istituzioni e dall’ambiente in cui viviamo. I forti sopravvivono alle perverse dinamiche del processo, i più fragili, i poveri Cristi soccombono.
E sul monte Calvario c’è crocefisso con Gesù un uomo di professione ladro che, alla fine della vita, riesce a rubare il Paradiso: “oggi sarai con me in paradiso “.
E c’è ai piedi della Croce, un Centurione, un romano, un pagano che riconosce Gesù come figlio di Dio, non davanti alla tomba vuota, non davanti alla luce della Resurrezione lo riconosce, ma sul trono dell’infamia, sul patibolo, esclamando: “davvero costui era figlio di Dio”.
Questa è la fede del Venerdì santo. Nel venerdì santo la gloria di Dio non si manifesta nel Tempio, ma sulla croce, sui patiboli della storia, là dove c’è un innocente che muore, lì c’è Dio.
Buona domenica delle Palme con San Paolo: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Colossesi 1,24).
Don Giuseppe Fiorillo