Piccole riflessioni ferragostane… ripensando alle più recenti vicende vibonesi
di Maurizio Bonanno
Colpa dei social, non c’è dubbio!
Colpa dei social se ogni minimo pensiero diventa motivo di confronto-scontro, di polemica e di contradditorio, ciascuno sentendosi, anzi esibendosi, come unico depositario della verità assoluta; autorizzato, dunque, a giudicare (sprezzantemente), a valutare (boriosamente)… a pontificare (pavonescamente)!
Ed è il destino al quale si sta assoggettando Vibo Valentia!
In un caotico caleidoscopio di giudizi trancianti come sentenze, la città vive ammorbata da polemiche che si rincorrono vorticosamente, tutti sentendosi “numeri uno”.
In questo clima ferragostano, quando dolce è rilassarsi sotto l’ombrellone con in mano un buon libro da leggere, il consiglio che ci si sente di dare è quello di dedicarsi alla lettura di un buon romanzo, un romanzo di formazione ancora meglio: sarà utile riprendere in mano il buon libro di Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi.
Rileggendolo appare come una inaspettata parodia delle ultime vicende vibonesi.
“La solitudine dei numeri primi” racconta di un rapporto impossibile, la difficoltà di raggiungere quella felicità che è a un passo, quel passo che diventa una distanza incolmabile se non si hanno gambe adatte ad affrontarlo. È una riflessione profonda, una discesa nella mente dell’essere umano nei suoi lati più inspiegabili.
Come sta accadendo ad alcuni personaggi della vita pubblica vibonese, politica e culturale e sociale, il romanzo di Giordano racconta un destino di dolore, che si spinge fino quasi all’autolesionismo, coltivando la negazione di una soluzione che per tutti gli altri sarebbe ovvia e facile, ma che per simili personaggi diventa impossibile, così immersi nel proprio io, nel proprio vissuto.
Alice e Mattia – sono loro i protagonisti del romanzo di Giordano, ma a Vibo Valentia di Alice e Mattia se ne individuano ben numerosi! – non riusciranno mai più a sfuocare nella loro vita questi ricordi del tempo glorioso che fu, quando a furor di popolo raccoglievano i giusti consensi per il loro ben fare e che oggi li segnano in maniera dolorosa, nel rimpianto e nella recriminazione del mancato, perché a loro giudizio dovuto, riconoscimento. Da questa condizione mentale non riescono più a venirne fuori, portandosi sempre con loro il passato rimpianto.
A noi, spettatori di questo dramma esistenziale, non rimane altro che assumere il ruolo che l’autore sceglie per sé, assistendo alla vita di queste travagliate esistenze usando pensieri e parole commosse, di umana solidarietà.
Perché la metafora è evidente – anzi, ben chiara leggendo i loro accorti sfoghi sui social – i numeri primi rimandano alla solitudine, in quanto sono quei numeri che sono divisibili solo per se stessi e per uno, ossia che non possono avere relazioni con altri che non con se stessi… ovvero il nulla, al di là di essi!
Povera Vibo mia!