Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 17 settembre
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime/i,
il brano del Vangelo di Matteo (Mt 18,21-34) della liturgia di questa 24ª domenica del tempo ordinario chiude il discorso ecclesiale (il quarto), dove l’evangelista raccoglie gli insegnamenti di Gesù sulle relazioni fra i componenti della comunità.
Dopo l’invito ad accogliere i bambini e le persone fragili (Matteo 18,1-11), segue la modalità come correggere il fratello che sbaglia (Matteo 18,12-18). Una domanda di Pietro sul perdono introduce il racconto odierno che contiene una delle parabole più complesse del Vangelo.
Pietro chiede a Gesù se c’è un limite nel perdonare un fratello che danneggia il prossimo con comportamenti malvagi:
“In quel tempo Pietro gli si avvicinò a Gesù e gli disse: se mio fratello commette colpe contro di me quante volte dovrò perdonargli? Fino a 7 volte? E Gesù gli rispose: non ti dico fino a 7 volte ma fino a 70 volte 7”.
Il perdono è un fatto molto serio, umanamente impossibile. Non si può chiedere con leggerezza alla persona offesa di perdonare subito. Bisogna con delicatezza fornire all’offeso un motivo forte per farlo.
Gesù lo fa con la parabola del re e dei due servi, dove appare chiaro che Dio per primo ha perdonato a noi.
Ci condona un debito infinitamente più grande di quello che un nostro fratello può avere nei nostri riguardi. Nella parabola, il re (Dio) condona al primo servo 10.000 talenti (milioni di euro) e il graziato non solo non condona pochi euro al suo collega, ma, addirittura, lo getta in prigione “fino a che non avesse pagato tutto il debito”.
Noi ci saremmo aspettati che la grande generosità del re avesse reso il servo condonato più umano. Invece no! Il suo cuore è rimasto egoista e brutale, incapace di un briciolo di compassione, di quella compassione che il re ha avuto abbondantemente nei suoi riguardi.
Nella parabola, sulle labbra dei due servi c’è questo grido angoscioso: “abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”.
Il primo trova grazia, il secondo no, perché il graziato, da oppresso, diviene oppressore.
Ed è la storia di ieri e di oggi.
Popoli divenuti ricchi, per grazia ricevuta, continuano a spremere, come il torchio con l’uva, il sangue dei poveri, fino all’ultima goccia.
Oggi, anche tra noi, persone che hanno raggiunto un grado elevato, per grazia ricevuta, non hanno più occhi per vedere le miserie del popolo e non hanno più orecchie per ascoltare i gemiti della sofferenza, chiusi come sono, nel cerchio magico delle proprie case e dei propri amici.
Apriamo gli occhi! L’invito di Gesù a perdonare “70 volte 7” non è un incoraggiare l’ingiustizia e dare via libera alla prepotenza, no! è un liberarci dalla spazzatura di odio, rancore, pesantezze per, così, sentirci liberi e volare alto, con ali di aquila.
Il perdonare “70 volte 7” non esclude la denuncia delle malefatte dei prepotenti e portarli in tribunale, così, come hanno fatto in Cile e in Argentina le vedove e le madri cristiane dei “desaparecidos”; o come fanno, oggi, pur avendo perdonato, le vittime di mafia nel chiedere, con forza, Verità e Giustizia a favore dei propri congiunti, uccisi dalle criminalità organizzate.
Tutto ciò trova fondamento nella parabola odierna nella quale leggiamo: “Visto quel che accadeva (la prepotenza del servo graziato verso il suo collega) i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto”.
Voglia il Signore che, oggi, tra noi sorgAno dei “compagni”, dei profeti che riferiscono “tutto l’accaduto”. Riferire con tutti i mezzi della tecnica: (stampa, TV, social network, chat, Instagram ecc.) sulle vicende che ammorbano il vivere umano.
Se vogliamo un mondo pacificato dobbiamo perdonarci.
Perdonarci:
le guerre che portano genocidi di popoli, uccidono la fraternità, alterano gli equilibri psicologici ed hanno un solo vincitore: i fabbricanti di armi.
Ecco l’unico antidoto a questo mondo di morte, il messaggio di Isaia: “Forgeranno le spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra” (Isaia 2,3-4).
Perdonarci, ancora, ogni giorno, per tutti gli screzi che avvengono nelle coppie, nelle comunità, sul lavoro, tra parenti, tra amici.
Perdonarci, perché il “per- dono” è veramente un dono per me, per te e per tutti coloro che si esercitano nell’arte della riconciliazione.
Buona domenica con un pensiero di una scrittrice che ha riflettuto sul male del secolo scorso: “Il perdono ci strappa dai circoli viziosi, spezza le coazioni a ripetere su altri il male subito, rompe la catena delle colpe e delle vendette, spezza le simmetrie dell’odio” (Hanna Arendt, La banalità del male).
Don Giuseppe Fiorillo