Un intenso invito ad una profonda e complessa riflessione che, come redazione, abbiamo ritenuto opportuno dividere in due parti
di Rosario Rito*
Se la natura o le circostanze del caso ci privano di qualcosa, la vita non ti lascia mai solo se ognuno si affida a essa… e con me fu molto generosa e lo fu così tanto da sembrare che volesse rimproverarmi delle mie paure, angosce e tormenti, che in parole semplici significa, non aver mai accettato la mia condizione. Sì, accettata perché, come non è per niente facile rassegnarsi e viverla giorno dopo giorno, in egual misura si ha desiderio anche di avere un amore, farsi una famiglia con dei figli e quant’altro. Desideri questi che significano semplicemente vivere pienamente la propria esistenza, poiché si ha l’umile e concreto bisogno di sentirsi e, soprattutto, avere un piccolo e prezioso pensiero per qualcuno.
Molte volte avrei preferito nascere cerebroleso – incapace d’intendere e di volere – per non saper distinguere il bene dal male, il buono dal cattivo e l’ipocrisia dall’onestà. Ciò non toglie, però, che io non sia ipocrita, opportunista, permaloso e talvolta cattivo come tutti. Soprattutto nei momenti in cui ci si vuole difendere da qualche azione malfatta o per un interesse personale. In fondo, siamo tutti un po’ vigliacchi con noi stessi, nel senso che per colpa dell’egocentrismo a voler sempre di più, non ci si rende mai conto di quello che abbiamo e di quanto siamo stati fortunati e, s’è pur vero che il significato o il valore delle cose si capisce solo nel momento che ci mancano, un conto è perderle per sbagli commessi, trascuranza o ingenuità, altra cosa è quando quello che hai, ti vien rubato da una fatalità troppo crudele e infame nei riguardi nostri e della vita stessa.
Non c’è nulla di logico o d’insensato in tutto questo, né tanto meno vi è cinismo o pessimismo; ritengo invece che questa realtà ti costringe a essere dei “presenti senza futuro”, dato che il nostro vivere sensoriale è sempre sottoposto a molteplici e infiniti perché, spruzzati da piccole e modeste speranze.
Chi sa se supererò l’esame? Chi sa se troverò lavoro? Chi sa se mi pagherà? Chi sa se stasera tornerò a casa per riabbracciare il mio amore e i miei figli? E tanti altri interrogativi che, mescolandosi con programmi o progetti del nostro vivere quotidiano, creano nell’animo umano la speranza che possa andare o procedere tutto bene e, principalmente, che ogni cosa possa andare nel verso giusto. Ciò significa che, come il nostro desiderare e progettare sono il sale del nostro vivere quotidiano, altrettanto veritiero è che tutto è sospeso su un filo. Un filo così sottile e delicato che neanche la nostra massima attenzione, può o sa metterci al riparo da ciò che può essere irreparabile.
Salvarci dal fato no, ma riprendere la quotidianità sì. Almeno fin quando la gente non sente suonare le campane per venire a darti, a tua insaputa, l’ultimo saluto, dato che vi è sempre tempo per ricominciare, riacquistare la speranza di un domani migliore e ciò anche quando sembra che tutto ti è contro.
Vi è sempre tempo anche per trovare nuovi amici, un nuovo amore, interessi e quant’altro; salvo, però, che delusioni, amarezze, sconfitte e l’abbandono verso il proprio credo iniziale non abbiano permesso alla morte di appropriarsi della tua anima, anziché del tuo corpo. Realtà questa che potrebbe essere assolutamente inevitabile che succeda, se il fato, il caso o chiunque esso sia, compresa la volontà di un Dio detto dei cristiani, ti porta via qualcosa di prezioso che prende il nome di amicizia, collaborazione, solidarietà, amore, marito, padre, fratello, nonno o più semplicemente, ciò che un’anima umana può desiderare e custodire per la disponibilità del suo amore incondizionato verso la vita.
Credo sia giustamente e profondamente corretto sostenere che, se non si vuole inciampare e cadere nel pozzo della più oscura disperazione o dannata solitudine interiore, è di primaria importanza saper ritrovare in noi stessi, la volontà o quel minimo coraggio che possa permetterci di ricominciare nuovamente da zero. Per i grandi moralisti e intellettuali questa è, o sarebbe, l’unica alternativa che si ha per evitare quel dannoso e degradante senso di sopravvivenza, che ti avvolge senza accorgetene, e ti fa sentire inadeguato e smarrito anche nelle cose più semplici ed essenziali.
Facile a dirsi, anche perché se è pur vero che tutto può ricominciare e avere un volto nuovo, non credo che possa succedere quando si perde non un semplice amico ma qualcosa di molto più grande. Un qualcosa come può essere quel qualcuno che nonostante le tue limitazioni fisiche e morali, ti ha consentito sempre di essere libero nel poter fare e così raggiungere l’effettiva realizzazione di un qualcosa che agli occhi degli altri appariva irrealizzabile.
Sì, ricominciare, ma da cosa? Da dove poter ripartire nel momento in cui il fato o la causalità della sorte ti ha tolto ciò che la vita ti aveva donato come ricompensa del torto subito dalla stessa natura?

Perdere qualcosa di caro o di prezioso, come lo è un membro della famiglia o un vero e ineguagliabile amico, improvvisamente e senza aspettarselo non può essere paragonabile allo smarrimento di un mazzo di chiavi o del telefonino, né tanto meno al dispiacere che si può provare se ci rubano la macchina o un qualcosa a cui noi tenevamo molto. È un qualcosa di devastante per il nostro vivere, poiché si tratta d’aver perso ciò che, oltre a rafforzare e tenere in vita le nostre speranze, ci donava anche la concreta libertà di poter essere te stesso.
Ti ritrovi improvvisamente solo e hai la sensazione che tutto si è perso nel nulla; esattamente come quel fratello, marito, padre, amico fedele che, per una manovra sbagliata su un vecchio trattore, s’è portato via con tutti i suoi desideri e i suoi progetti che andavano oltre a un se stesso e un unico io.
Umberto Fiorillo o semplicemente Umberto, era il mio corpo in movimento, le mie ali, le mie gambe, le braccia e la mia voce. Era semplicemente un me stesso, diviso in due corpi.
Che brutta bestia, il fato! Ti toglie tutto senza preavviso, essendo privo di sentimenti e di emozioni come lo è la vita. O meglio: non avendo né passato e né futuro, in quell’attimo di presenza, è così atroce nella sua crudeltà che, oltre a portar via l’aria per i tuoi polmoni e succhiarti il sangue delle vene, ti ruba ciò che per te è di più caro e prezioso, come può essere un affetto e una stima sincera. Si tratta del sostegno che, oltre a sostenerti nel collaborare alla realizzazione dei tuoi progetti e dei sogni che sono le radici da cui nascono e germogliano le vere e indiscutibili speranze del tuo vivere quotidiano, ti riempivano di viva emozione ogni istante della tua giornata, pur non essendo presente.
Com’è vero che siamo un presente con un incerto futuro, è assolutamente falso sostenere che il guaio è per chi muore, poiché il dramma è per chi resta in vita, soprattutto per coloro che lo intravvedono con gli occhi dell’amore e sentono attraverso la voce del silenzio di un’anima, invisibilmente sepolta nel suo ricordo indelebile.
*Poeta, scrittore