Contro il popolo di Israele riecheggiano oggi le frasi della propaganda nazista di ottant’anni fa. Se Israele scomparisse , il popolo ebraico non potrebbe sopravvivere
di Maurizio Bonanno
L’allarme antisemitismo si fa di giorno in giorno più concreto in Europa. Ed anche in Italia, purtroppo. La brace che covava sotto la cenere si sta riaccendendo. A Parigi sono tornate le stelle di David sulle case degli ebrei, gli slogan antisemiti alle manifestazioni, gli attacchi alle sinagoghe. La notte di Ognissanti, quella di Halloween per alcuni, è stato appiccato un incendio nella parte ebraica del cimitero centrale di Vienna. La camera antistante alla sala delle cerimonie, dove vengono celebrati i funerali, è bruciata mentre «svastiche sono state disegnate con lo spray sui muri esterni». La tensione è alta. E cresce ogni giorno di più. Anche l’Italia è interessata dall’ondata di episodi di antisemitismo dopo l’inizio del conflitto a Gaza. Si teme l’escalation collegata alle proteste di piazza, ma non solo. La storia ci ricorda in maniera tragica che, alla prima occasione utile varie aggregazioni convergono verso un antisemitismo di ritorno C’era un tempo in cui in difesa dello Stato di Israele e degli ebrei si schieravano i migliori intellettuali europei come Pablo Picasso e Eugene lonesco, e in Italia personaggi come Norberto Bobbio ed Eugenio Montale. La piccola repubblica israeliana era considerata un pegno della nostra libertà, che il mondo arabo-islamico voleva annientare. Adesso, invece, per quanto le manifestazioni degli studenti ribelli forse non sorprendano più di tanto, almeno dai docenti, e per lo più delle università, ci si sarebbe aspettata una presa di posizione netta su quell’atto terroristico di Hamas che il 7 ottobre ha travolto Israele e sconvolto l’Occidente. Sta succedendo il contrario. Oggi Israele è di nuovo sotto assedio, è rimasto solo, delegittimato e condannato a morte da certe classi dirigenti ed intellettuali, da certi opinionisti e social media. Contro il popolo di Israele riecheggiano oggi le frasi della propaganda nazista di ottant’anni fa, con il tradimento e l’abbandono degli ebrei da parte dell’opinione pubblica europea. Un obbrobrio che le masse dei “progressisti” accolgono in silenzio. I peggiori antisemiti oggi li trovi fra la brava gente: quelli che diresti siano i buoni, i rispettabili, i politically correct. Ed anche gli immancabili vanitosi dello star system, frequentatori di certi salotti televisivi. |
Oggi migliaia di occidentali accecati dal solito odio anticapitalista e pregiudizio antiamericano sfilano con le bandiere della Palestina o, peggio, con manifesti che raffigurano la stella di David nel cestino unendo indistintamente destra e sinistra estrema.
Non sfilano contro Nethaniau, la sua riforma della giustizia o gli estremisti della destra israeliana che siedono al governo. L’attuale amministrazione israeliana ha le sue colpe e il governo di Nethaniau pagherà pesantemente per tutto quanto accaduto. Ma non è questo che importa, perché oggi si sfila contro gli ebrei, in generale, indiscriminatamente: non contro il governo israeliano, ma contro lo Stato di Israele, non contro gli estremismi anche israeliani, ma contro il popolo israeliano, contro gli ebrei.
Il nuovo nazismo striscia sotto mentite spoglie, obnubila le menti e impedisce di leggere i fatti in maniera obiettiva.
Perché gli ebrei non sono mai innocenti. Non sono innocenti se si difendono contro gli stati confinanti che ne vogliono la distruzione. Vanno ghettizzati, emarginati. Anche oggi, come ottant’anni fa.
Come rispondere a questa recrudescenza antisemita?
Bisogna innanzitutto uscire dall’equivoco nel quale si vuol far cadere l’opinione pubblica. È una questione di chiarezza morale, necessaria quando si è di fronte a una guerra e si chiede la pace.
Non si può trascurare il fatto che vi è un aggressore e un aggredito. Il governo israeliano addirittura credeva, sbagliando tragicamente, che Hamas avesse rinunciato alla violenza omicida: non pensava affatto di invadere la Striscia di Gaza, aveva anzi ridotto le difese.
A questo punto, però, come ha il dovere di fare ogni Stato che viene attaccato, Israele deve ripristinare la maggiore sicurezza possibile per i propri cittadini. Già adesso, il bilancio è pesantissimo: circa 10mila morti dall’inizio della guerra, scaturita dall’attacco di Hamas del 7 ottobre. Tra essi, alla data di ieri, 2 novembre, almeno 36 giornalisti e operatori dei media sono rimasti uccisi. E tanti, troppi sono bambini!
Certamente, un bambino ucciso dai terroristi di Hamas è un dramma, come lo è un bambino ucciso dalle bombe di Israele. Ma la responsabilità delle morti è di chi la guerra l’ha voluta, dichiarata ed eseguita, avviata. Vale per le vittime israeliane e per gran parte di quelle palestinesi. Come in Ucraina, nel dramma non ci può essere equivalenza tra aggressore e aggredito.
Altro aspetto da chiarire è che Israele non è un Paese che si nutre e che si è nutrito del sangue dei palestinesi, come sembrano pensare molti manifestanti. Ed è un Paese pienamente democratico. L’unica democrazia effettiva in Medioriente e da decenni è sotto attacco per il fatto stesso di esistere: se non avesse un esercito di difesa potente, non esisterebbe più e il popolo ebraico sarebbe di nuovo esule per il mondo, esposto come in passato a pogrom e discriminazione, agli Hitler e gli Stalin del momento, a nuove notti dei cristalli.
È amaro constatare che le migliaia di manifestanti, soprattutto i più giovani, non considerino questi semplici ma determinanti aspetti, non si chiedano cosa lega la barbarie dei terroristi, di Hams come dell’Isis, alla misoginia, all’oscurantismo, alla crudeltà, al trattamento delle donne, al Medioevo che è l’elemento distintivo dei regimi di Hamas e degli ayatollah, di Teheran come di Kabul. E non si rendono conto che con questo comportamento non fanno altro che coprire, anche non volendolo (si spera!), i peggiori antisemiti tornati in attività dopo ottant’anni.
Se Israele scomparisse oggi, il popolo ebraico non potrebbe sopravvivere.
Che fare allora? Solidarietà. Solidarietà al popolo ebraico. È l’unica arma che abbiamo.