Bisogna ribellarsi, in nome della cultura e contro l’ignoranza, al continuo stupro che quotidianamente subisce la lingua italiana
di Maurizio Bonanno
Sto commettendo un atto di assoluta, dichiarata presunzione. Dovrei chiedere scusa ed invece no: non chiederò scusa. Riconosco l’atto volontario di presentarmi vantandomi presuntuosamente del mio ruolo. Perché intendo vestire i panni di socio fondatore e vice presidente del Comitato provinciale della Dante Alighieri. Perché intendo ricordare la mia qualifica di giornalista professionista ed autore di diverse pubblicazioni nei vari generi letterari avendo pure ricevuto significativi riconoscimenti e premi. Perché con orgoglio voglio ricordare di essere stato allievo del glorioso Liceo Classico di Vibo Valentia. Perché rivendico di essere stato in qualche modo un promotore culturale. Perché leggo, leggo per passione: è un vizio che ho… come quello di scrivere!
Perché questa spocchiosa premessa? Perché questo atto di presunzione? E perché porlo alla vostra cortese attenzione? Autodenunciarmi?
Perché voglio gridare il mio BASTA!
Voglio denunciare che non se ne può più: la misura è colma. La lingua italiana, la nostra lingua. La lingua di Dante e di Petrarca. La lingua di Manzoni che andò a sciacquare in Arno i suoi Promessi Sposi prima della pubblicazione. La lingua di Foscolo, di Pirandello, di Quasimodo. La lingua italiana che secondo la classifica stilata da Ethnologue è al mondo è la quarta lingua più studiata, prima del francese… Subisce quotidianamente uno stupro violento e volgare in nome di un politically correct che è in realtà ipocrita, falso, subdolamente compiacente, ma soprattutto è il volgare frutto di crassa ignoranza.
Non se ne può più! in questa trappola a turno ci stanno cascando tutti, anche firme illustri, testate giornalistiche serie, affidabili e dal glorioso passato, personaggi di varia umanità che strizzano l’occhio ad un politicamente corretto e così violentano, deturpano, abusano la nostra madre lingua.
Quando anche oggi, un’altra volta Rai News propone un titolo con tale atto di violenza, un conato mi ha avvinto ed ho deciso di presentare la mia reazione. Sarà un atto inutile probabilmente, desterà ironia e sarcasmo, ma devo dirlo che IO NON CI STO!


E la stessa cosa, lo stesso obbrobrio lo hanno commesso le due principali agenzie di informazione in Italia; Ansa e Agi.


Questa usanza che fa presumere un “politicamente corretto” (nascondendo in realtà un’ipocrisia, questa sì ributtante…), è un’offesa alla lingua ed un inno all’ignoranza, all’ignorante, ovvero colui/colei che non ha alcuna idea di come funzionino le lingue avendo rinunciato a studiare ed accontentandosi delle neolauree assegnate tramite navigazione social.
Il valore della parole ed il loro significato sono legate ad una caratteristica essenziale ed insostituibile: l’etimologia.
La formazione delle parole non è un’azione arbitraria da adattare ai nostri capricci o alle mode, men che meno alle ipocrisie di un deleterio e gratuito “politicamente corretto”: in linguistica è fondamentale tenere conto della loro derivazione.
Ed allora, ricordando che l’italiano trae la sua origine dalle due lingue classiche, latino e greco, richiamiamo alla memoria alcuni particolari: i nomi che terminano in -ista, -iatra, -cida, -nauta -metra (ma anche alcuni sostantivi come, ad esempio, “collega”) arrivano in italiano già con la desinenza -A al genere maschile e di conseguenza non possono che rimanere invariati anche se riferiti al femminile. Quindi, in questi casi la -A non è una desinenza femminile, ma è una desinenza etimologica che vale per entrambi i generi.
Per quanto riguarda i nomi terminanti in -E, in molti casi (non tutti) restano invariati, ma bisogna cambiare l’articolo: il preside/la preside, il cantante/la cantante, il presidente/la presidente (a proposito, qualcuno può ricordarmi il participio presente del verbo presiedere, che ovviamente fa riferimento a colei/colui che presiede?). Anche in questo caso l’uso comune suggerisce alternative: professore/professoressa, dottore/dottoressa, ma assessore…
La parola “assessore” deriva dal sostantivo latino “assessor, assessoris”. L’italiano – come spesso è accaduto nel passaggio dal latino al volgare – ne ha ereditato e istituzionalizzato la forma dell’ablativo singolare (assessor-e, appunto). Ciò significa che quella -E non è una desinenza simile alla nostra -o maschile, per cui non occorre declinarla al femminile. Se proprio volessimo fare i politically correct rimane impossibile, tecnicamente impossibile tramutarlo in assessora: teoricamente, volendo “forzare” in nome di questo “maledetto” politicamente corretto, si potrebbe adottare la forma “assessoressa”; ma attenzione: oggi usare il suffisso -ESSA, assume un valore più che altro dispregiativo o ironico, quindi… a voi la scelta (ovviamente, come appare nell’uso comune, forme come professoressa, dottoressa, vigilessa sono ormai entrate nell’utilizzo da molto tempo e quindi non percepite negativamente; provate, invece, a dire assessoressa?!).
Ed allora, abbiate pietà…
Prendete in mano un libro, un dizionario, lasciate per un attimo i social e – se necessario – tornate a scuola. Abbiate rispetto di quei pochi che – potete pure etichettarli come tradizionalisti – si impegnano a professare il giusto rispetto linguistico piuttosto che lasciarsi irretire da ipocrite forme di presunta correttezza socio-politica.
Il rispetto di genere nasce da una consapevolezza culturale ed educativa, piuttosto che da formule dissimulatrici e “quote” (cosiddette rosa).