[adrotate group="4"]

Don Fiorillo, cerchiamo di essere come il Dio pastore che non chiede, offre; che non prende, dona

Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 21 aprile

di Mons. Giuseppe Fiorillo

Carissime/ i,

oggi celebriamo la 4ª domenica di Pasqua, dedicata alla riflessione sulla figura del pastore buono. Nel brano del Vangelo che ci propone  la liturgia (Giovanni 10, 11-18)  ed in tutto il capitolo decimo, Gesù si definisce “pastore delle pecore”, “porta  dell’ovile”, “recinto sicuro” per custodire  da ogni pericolo.
“In quel tempo, Gesù disse: “Io  sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così, come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore….”.
L’immagine del pastore, sulle labbra di Gesù, ha una grande risonanza affettuosa, con  forti radici nell’immaginario collettivo. Il pastore, a quei tempi, era compagno di vita del suo gregge, condividendo, durante la giornata, fatiche, spostamenti, pioggia, sole cocente, paura nel deserto, gioia nelle valli ricche di acqua e di pascolo. Il pastore nell’antico e nel nuovo Testamento è l’immagine viva del Dio con noi, del Dio vicino alle nostre storie, che non scappa, come i mercenari dinanzi al pericolo, ma che dà la vita per le pecore.
Oggi chi è per noi  il buon pastore?

È colui che si prende cura “di questa bella d’erbe famiglia e di animali” (U. Foscolo); è colui che dà il proprio tempo alle persone a lui affidate: i genitori ai propri figli, gli insegnati ai propri  allievi, i sacerdoti ai propri  fedeli, i politici al popolo che li ha delegati ad amministrare il bene pubblico. Tutti noi, poi, siamo chiamati a seguire l’icona del Dio pastore che non chiede, offre; che non prende niente, dona tutto; non toglie vita, dà la sua vita anche a coloro che gliela portano via.

Porta dell’ovile.
Di notte, le pecore venivano raccolte in un recinto, all’aperto, circondato da mura di pietre a secco e protette,  così, nelle ore notturne, da ladri, lupi, sciacalli. Nell’ovile, i vari proprietari, nelle campagne palestinesi, raccoglievano le loro pecore in spazi interni divisi e con gli animali marchiati per consentirne il riconoscimento.
All’alba, ogni pastore si presentava alla porta dell’ovile custodito da un guardiano e ritirava il proprio gregge per condurlo al pascolo. Una volta riunito il gregge, il pastore si metteva alla testa del gregge stesso, che docile lo seguiva. Inizia, così, la lunga giornata, vagando per valli e colline, fino al calar del sole quando le pecore, alla porta dell’ovile, venivano, all’occorrenza, munte e rinchiuse al sicuro.
Gesù, su ispirazione di queste dure immagini bucoliche, ci dice che Lui è “il bel pastore” e, nello stesso tempo, è “la porta”, attraverso la quale si entra e si esce con sicurezza. La porta è la vita, la novità, la libertà.
Cristo si è fatto “porta” per liberarci dal limite, dalla chiusura, da protezioni ossessive che rischiano di trasformarsi in prigione.

I recinti
Gesù col  farsi pastore e porta ci libera da quei recinti che noi rischiamo di costruirci, giorno dopo giorno:
-ci libera dai recinti di una pratica religiosa statica, tirandoci  fuori, attraverso un dialogo col Dio-vicino, che unisce cielo e terra;
– ci libera da una falsa immagine di Dio, fatta di vuoti precetti, di vecchie legislazioni, di sterili proibizioni;
– ci libera dai recinti della droga, del denaro, del successo, del potere che giustifica tutto e tutti; 

– ci libera dalle suggestioni delle ideologie che plagiano l’uomo, rendendolo asservito ai potenti di turno;
– ci libera dai modelli culturali che predicano che tutto è liquido: l’economia, l’amore, la famiglia, la scuola, le relazioni sociali (Zygmunt  Bauman);
– ci libera dai recinti di  una famiglia che non dà, spesso, ai propri figli solide radici per sentirsi più sicuri, né robuste ali per volare più in alto;
-ci libera il buon Pastore, ci libera sempre col darci un “oltre”: oltre le guerre, oltre le sperequazioni sociali, oltre tutte le babeli moderne, che generano confusione tra il bene e il male.

Buona domenica con  un’invocazione: “manda, Signore, ancora profeti,/ uomini certi di Dio,/ uomini dal cuore in fiamme,/ e Tu a parlare dai loro roveti”( Davide Maria Turoldo).
don Giuseppe Fiorillo

Exit mobile version