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Don Fiorillo, Gesù  sovverte la nostra logica razionale. L’Eucarestia  è il solo farmaco d’immortalità

Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 2 giugno, Corpus Domini

di Mons. Giuseppe Fiorillo

Oggi celebriamo il mistero della Solennità del Corpus Domini.
Qualche cenno storico. Correva l’anno 1264 e papa Adriano IV si trovava, in esilio, a motivo delle beghe delle grandi famiglie romane, ad Orvieto, quando viene a conoscenza quanto era accaduto, qualche giorno prima, nella vicina Bolsena.
Un prete boemo, nel cammino verso Roma, in pellegrinaggio alle tombe dei  Santi Martiri Pietro e Paolo, mentre celebrava la messa domenicale, era stato assalito da forti dubbi di fede sulla realtà del Corpo e Sangue di Cristo nella specie del pane e vino che aveva fra le  sue mani. All’improvviso aveva visto gorgogliare nel calice il Sangue di Cristo fino a riversarsi sul corporale e sull’altare. Il fatto, avvenuto  alla presenza di numerosi fedeli, suscitò grande scalpore ed il papa fece portare ad Orvieto il sacro lino, bagnato di sangue. Fu questa l’occasione per estendere a tutta la Chiesa cattolica la festa della Solennità del Corpo e  Sangue del Signore Gesù, fino ad allora semplice memoria celebrata soltanto in alcuni luoghi della cristianità.
Accostiamoci al testo della liturgia odierna:

“Il primo giorno degli  azzimi… Gesù disse a due dei suoi discepoli: “Andate in Città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo; là dove entrerà dite al padrone di casa: “il Maestro dice: dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?” Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta: lì preparate la cena per noi”.

I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. Mentre mangiavano, Gesù prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Prendete  questo è il mio corpo”. Poi prese un calice e rese  grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è  versato per molti”. (Marco 14,12-16.22-26).

Era il primo giorno degli azzimi. Che cos’erano questi giorni degli azimi?

Erano sette  giorni che precedevano la Pasqua nei quali si mangiava pane fatto con farina nuova senza lievito e senza nulla che venisse dall’anno precedente
Messaggio: la Pasqua è novità. È lasciare il vecchio, la schiavitù d’Egitto, per entrare nel nuovo (la terra promessa).
Viene preparata la Pasqua, l’ultima  Pasqua di Gesù. Quanti segni nella preparazione!

Gesù manda due discepoli in  città con delle indicazioni precise: andate, vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo ed entrate nella casa dove lui entra e dite al padrone della casa che il Maestro ha bisogno d’una stanza per mangiare la Pasqua. La richiesta viene  prontamente esaudita: il padrone mostra ai due discepoli una grande sala, arredata e già pronta e, quivi, viene preparata la cena. Nella notte in cui viene tradito Gesù, nel cuore della celebrazione, prende il pane lo benedice, lo spezza e lo dà ai presenti dicendo: “Prendete questo è il mio corpo per voi spezzato, questo è il mio sangue per voi sparso”.

“Prendete”: nella religione di Cristo è Dio che si dà agli uomini, nelle antiche è  l’uomo che compie continui sacrifici a Dio per ingraziarselo.
Gesù parla con verbi poveri, semplici e diretti: prendete, ascoltate, venite, andate, partite…
Gesù  sovverte la nostra logica razionale. Invece di ultime raccomandazioni su come vivere il suo messaggio nel futuro consegna il suo corpo: “Prendete  questo il mio corpo”. E Gesù va, ancora, oltre il restare nel sacramento del pane e vino, assicurandoci che l’umanità intera è il suo corpo. “Qualsiasi cosa avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” (Matteo 25, 40).
E allora Corpo di Cristo è quella mamma che, in cammino, verso una terra promessa, muore abbracciata alla  sua bambina, nel deserto, per mancanza di cibo ed acqua; corpo di Cristo è’ quella bambina di 10 anni che, a Gaza, colpita da un micidiale razzo, sul letto del dolore, piange e grida: “chi mi darà le mie gambe per camminare?”; corpo di Cristo è quel povero ed innocuo straniero che, di notte, a San Costantino Calabro, qualche giorno fa, da una baby gang, viene vigliaccamente  massacrato con pugni, calci e bastonate e lasciato ai bordi della strada, come quel samaritano che da Gerusalemme scendeva a Gerico ed incappa nei briganti; corpo di Cristo sono quelle membra di fratelli e  sorelle che, giorno dopo giorno, vengono divorate da un mostro, il tumore, che scorrazza nelle nostre vite,  devastandole a suo piacimento…

Un Gesù, così, diventato pane da mangiare e vino da bere, è il segno d’un amore che si spende fino in fondo, donandosi fino ad annullarsi in noi e farsi da noi assimilare,  come assimiliamo il cibo quotidiano.
Chi può  arrivare fino a tanto? Siamo al fondo dell’annullamento di Gesù per noi, iniziato con l’incarnazione e proseguito con la morte in croce.

Non c’è amore più grande di colui che dona  vita fino a farsi mangiare!

L’Eucarestia è la dichiarazione d’amore di Gesù per ogni persona. È  un atto estremamente coraggioso, perché Gesù si espone anche al possibile rifiuto. Molti  fra noi,  difatti,  lo rifiutano per saziarsi di carrube, di cibi superficiali e poveri, senza renderci conto di che cosa veramente abbiamo fame.
Non così per i Martiri di Abitina, in Africa, che, nel 304, per non aver rinunciato alla loro fede nell’Eucarestia affermando coralmente nel processo: “Sine Domenico non possumus  vivere”, (senza l’Eucarestia domenicale non possiamo vivere, perché l’Eucarestia  è il solo farmaco d’immortalità), furono tutti, barbaramente, trucidati.
Santo  Corpus Domini in compagnia  di san Leone Magno: “La nostra partecipazione al Corpo e Sangue di Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo”.
Don Giuseppe Fiorillo .

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