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Don Fiorillo, Gesù ci invita a scoprire l’infinitamente piccolo. A coltivare il piccolo seme

Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 16 giugno

di Mons. Giuseppe Fiorillo

Carissime/i,

oggi, celebriamo l’undicesima domenica del Tempo Ordinario. Il brano del vangelo di Marco conclude il grande discorso delle  parabole con la narrazione di due piccole ma intense parabole, cariche di profondi messaggi, partendo dall’infinitamente piccolo. Andiamo al testo di Marco:
“GESÙ diceva alla folla:” Così è regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura”. Diceva: “A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”. (Marco 4, 26- 34).
Nella prima parabola abbiamo tre momenti con protagonista il seme. Il contadino compare nel primo e terzo momento: la semina ed il  raccolto; scompare, invece, nel secondo momento, il tempo misterioso della crescita. Niente al mondo è più fragile di un seme, ma nello stesso tempo, niente è più carico di futuro.
Il seme è una bomba di energia che, nell’esplosione, viene fuori come stelo e fiori e chicchi di grano che, stritolati, poi dalla macina, diventano pane fragrante sulla tavola della mensa degli uomini.

Con la suggestione  di questa parabola, Gesù porta gli uditori ad un livello più alto: il seme è la parola di Dio. Compito del discepolo è seminare la parola e poi lasciare tutto a Dio, perché la parola (dorma o vegli il seminatore!) ha un cammino suo misterioso ed  indipendente. Grande responsabilità nel seminare, ma poi altrettanto grande cura nel lasciare in libertà il cammino vitale della semente; cosi imparare la faticosa arte di non andare oltre, di porre un freno all’impazienza; di rispettare i ritmi della crescita della della persona.
A noi il compito di seminare, con piena coscienza, perché (ricordiamoci!) da come sono vissuti, nell’adolescenza, due o tre forti incontri, dipenderà, in bene o in male, tutto il processo educativo dei nostri ragazzi.
E poi seminare  con gioia e tenacia, ma senza piangersi addosso con i soliti lamenti: tristezza dei tempi, figli che non  ascoltano, alunni che, sono “a tutt’altre faccende affaccendati”, caduta dei valori morali… e ricordiamoci ancora che, un seme portato dal vento tra le fenditure di una roccia, è capace, nonostante  tutto, di mostrarci il miracolo della  vita!
Una seconda parabola ci dà ancora Gesù per dirci come procede il regno di Dio sulla terra: procede con umiltà, partendo da un minuscolo seme di senape, il più piccolo tra i semi che, tuttavia, nel tempo cresce e diventa un grande albero, dove, tra i rami, gli uccelli del cielo collocano i loro nidi, godendo  della sua frescura. È questa la pedagogia di Gesù! Un invito  a tenere gli occhi per terra, a scoprire l’infinitamente piccolo.
La nostra pedagogia, al contrario, è pensare subito, per paragonare il regno di Dio ad un magnifico cedro del Libano, ad una annosa quercia, ad un superbo pino secolare della Sila: alberi che affermano la grandiosità e la potenza e  magnificenza di Dio.
Oggi, Gesù, ancora, suona per noi la campanella e ci chiama alla sua scuola, che non va mai in vacanza, e c’invita a guardare le cose con i suoi occhi, puri ed innamorati; c’invita a guardare “i  gigli dei campi che non filano, eppure neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro” (Matteo 6,26); ci invita ad ammirare la povera vedova che, nel tesoro delle Tempio, getta l’unico spicciolo che possiede;  ci invita a compenetrarci nel viso pieno di lagrime della vedova di Nain, che piange il figlio morto; ci invita ad osservare gli uccelli dell’aria che iniziano la giornata, cantando, prima di andare alla ricerca di cibo;  ci invita, ancora, a guardare i campi biondeggianti del grano ed il rosso di sera, foriero di belle giornate… Quanto siamo lontani dalla leggerezza del regno di Dio che ci propone Gesù: partire dalle cose semplici, dai poveri della terra, dal piccolo seme di senape…  E quanto sono lontani, ancor più, i potenti della terra che detengono il 70% della ricchezza mondiale e che amano le parate, l’ultima del 14 giugno corrente anno, il G7, nelle Puglie, che pare, come le 50 parate precedenti, una bella e dorata vacanza tra finti amici, in un finto luogo, dove si assumono finti impegni… e le guerre continuano, le miserie avanzano  nel mondo e “la terra geme e soffre le doglie del parto” (Romani 8,22).
Buona domenica con l’augurio che  il nostro granello di senape, misura della fede dataci da Dio, diventi un albero che accoglie ed assicura ristoro ai viandanti della vita.

don Giuseppe Fiorillo.

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