Gli indagati sono quattro militari della Guardia di finanza e due della Guardia costiera: errori nelle comunicazioni
A 17 mesi dal naufragio di Cutro, che è costato la vita a 98 persone, la procura di Crotone ha chiuso le indagini mettendo sotto inchiesta 6 persone tra gli uomini della Guardia di finanza e della Guardia costiera che nella notte tra il 25 e il 26 febbraio del 2023 si trovavano in servizio in Calabria. Secondo l’interpretazione del pubblico ministero Pasquale Festa e il procuratore Giuseppe Capoccia la tragedia si sarebbe potuta evitare se si fosse agito in modo diverso.
Quella notte persero la vita 98 migranti di cui 35 bambini mentre non si conosce ancora il numero dei dispersi.
L’imbarcazione era partita dalla Turchia sovraccarica, con a bordo circa 180 persone, per le più di origine iraniana, afghana e pakistana, e si infranse su una secca a 150 metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro, a pochi chilometri da Crotone. Fu allora, su quella spiaggia che ci si accorse dell’immane tragedia che in quei giorni sconvolse l’opinione pubblica internazionale e sin da subito si scatenarono polemiche e accuse nei confronto di chi forse avrebbe potuto fare qualcosa – si disse – per evitare quella tragedia.
La ricostruzione dei fatti ricorda che l’imbarcazione era stata fotografata da un velivolo di Frontex, alle 22.26 del 25 febbraio, diverse ore prima del naufragio. Navigava a 40 miglia dalle coste italiane, in zona Sar (search and rescue, ricerca e soccorso) italiana: l’operazione di salvataggio quindi sarebbe stata di competenza italiana, secondo quanto stabilito dalle convenzioni internazionali. Tuttavia l’evento non fu classificato come “emergenza”, nonostante l’imbarcazione fosse carica di persone e le previsioni meteo fossero pessime.
La guardia costiera italiana non è intervenuta alla ricerca del barcone, presumendo che fosse in condizioni di sicurezza, come affermava il comunicato di Frontex, che tuttavia diceva anche che il caicco “Summer Love” era sovraccarico e che non c’erano dispositivi di sicurezza.
La comunicazione di Frontex arrivò anche alla Guardia di finanza che la interpretò semplicemente come il riferimento a una nave di migranti. Comunque sia, dopo l’annotazione, l’ufficiale di turno dispose l’uscita in mare della motovedetta V5006 e del pattugliatore Barbarisi. per un’operazione “di intercetto”, cioè un’operazione di polizia per fermare l’imbarcazione e catturare eventuali scafisti e trafficanti, e non per soccorrere le persone che si trovavano a bordo. L’operazione però fu interrotta per via delle condizioni sfavorevoli del mare. e come andò a finire – purtroppo – è ormai storia.
Ora la conclusione delle indagini con l’ipotesi di accusa per naufragio colposo e omicidio colposo plurimo a carico di sei persone: il capo turno della sala operativa del Comando provinciale della Guardia di finanza e del Roan di Vibo Valentia; il comandante del tempo del Roan di Vibo Valentia, l’ ufficiale in comando tattico e controllo tattico presso il Roan di Vibo Valentia, il comandante del gruppo aeronavale di Taranto, l’ ufficiale di ispezione presso l’Imcrr (Italian Maritime Rescue Coordination Center) di Roma, e l’ ufficiale di ispezione presso il V Mrsc (Centro Secondario del Soccorso Marittimo) di Reggio Calabria.
I quattro indagati della Gdf avrebbero sbagliato le modalità di azione dopo aver ricevuto la segnalazione del caicco 40 miglia a largo delle coste calabresi; mentre i due indagati della Guardia Costiera sarebbero accusati di mancata azione, seppure, evidenzia la procura, indotti in errore dai finanzieri. Ritenute non corrette anche le comunicazioni con la Guardia Costiera.