Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 18 agosto
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime/i,
oggi, celebriamo la 20ª domenica del Tempo Ordinario. Siamo sempre col vangelo di Giovanni, nella sinagoga di Cafarnao, dove, Gesù con la forza dei segni del pane e del vino, annunzia quello che avrebbe a noi dato nell’ultima Cena e, cioè, il sacramento dell’ Eucarestia.
Ascoltiamo il testo che ci propone la liturgia di questa domenica:
“In quel tempo Gesù disse alla folla: “Io sono il pane vivo disceso del cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?” Gesù disse loro:” In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io e lui. Come il padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, cosi anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno”. (Giovanni 6, 51- 59).
Gesù, come segni della sua presenza tra noi, parte dal pane e dal vino: due elementi familiari a tutti i popoli dell’aria mediterranea.
Il pane-carne.
Il pane è l’elemento necessario alla sussistenza ed è presente sulle mense di ricchi e poveri.
Il pane è segno di unità: più chicchi, nel rinunciare alla loro individualità e nel subire la violenza della macina, raggiungono l’unità nel dono del pane, sostegno per la vita degli uomini.
Il pane è carico di significati e, prima d’arrivare sulla mensa è fatica, è lavoro, è pioggia, è vento, è sole, è l’uomo del campo che semina nelle lacrime con la speranza di raccogliere nella gioia (salmo 126) e… poi è mulino, è fornaio, è negozio, è mangiare, infine, assieme, seduti alla stessa tavola, portando così pace, amicizia, amore, dialogo, comunione. Il pane è l’alfabeto comune a tutti i popoli e allora comprendiamo il motivo per cui Gesù dice che darà da mangiare il suo corpo nel segno del pane.
Il pane, presentato all’altare, santifica il lavoro umano: “Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo, dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto la terra e del lavoro dell’uomo”. (Dalla liturgia eucaristica)
Il vino-sangue.
L’altro elemento, scelto da Gesù per restare con noi, è il vino. Il vino rappresenta la gioia, il pane il necessario, l’utile, il vino è la festa. Gesù moltiplica i pani per sfamare i bisogni della gente, ma, a Cana di Galilea, moltiplica il vino per la gioia degli invitati alle nozze della festa di due giovani sposi.
La scrittura dice che “il vino allieta il cuore dell’uomo ed il pane sostiene il suo vigore” (Salmo 104,5).
Il vino per il suo colore evoca il sangue. Il vino, presentato all’altare per divenire sangue di Cristo, è segno del dolore umano che viene santificato nella speranza di un riscatto, di una liberazione. La sofferenza umana, unita al sangue d’Agnello, diviene una sola cosa come Lui. Così, come le poche gocce d’acqua, versate nel calice, mescolandosi con il vino diventano, nella Consacrazione, una unica bevanda di salvezza.
Nel brano odierno, composto di otto versetti, che leggiamo oggi, Gesù per ben otto volte ci supplica: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna. Perché Gesù ci supplica per ben otto volte?
Perché Lui sa che noi mangiamo male, alla vita vera preferiamo l’effimero. Mangiamo male con gli occhi, perché ci riempiamo di una valanga d’immagini futili o, peggio, cariche di bruttezza; mangiamo male con le orecchie, perché ci stordiamo in un mare di suoni, di pettegolezzi, di stonature; mangiamo male con l’intelletto che, lasciato libero e senza il lume del messaggio di Cristo, partorisce mostri….
Ben venga, quindi, la supplica di Cristo: “Prendete e mangiate, prendete e bevete, perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda”.
Nutrirci di Cristo è accogliere la sua umanità, le sue lagrime, le sue gioie, i suoi abbracci ai bambini, lo stare sulle piazze, frequentare le taverne per dialogare con pubblicani e peccatori e dare speranza, chiedere un sorso d’acqua alla samaritana, donna di facili costumi, invitare Zaccheo, lo strozzino di Gerico, a scendere dal sicomoro per andare a casa sua…-
Buona domenica con l’augurio che l’Eucarestia ci aiuti ad essere buon pane, spezzato per i fratelli che, con molta fatica, arrancano in questo mondo.
Un parrocchiano al funerale di don Primo Mazzolari, morto il 12 aprile 1959 a Cremona, lasciò questa testimonianza: “Ci bastava guardarlo, vederlo passare per le nostre strade. Per noi era pane.”
Don Giuseppe Fiorillo