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“Ecco l’anima del luogo”, Gregorio Corigliano racconta la storia intima di una famiglia del Sud

L’ultimo libro del giornalista Rai che racconta se stesso e i luoghi della sua infanzia

Con “Ecco l’anima del luogo”, il giornalista Gregorio Corigliano. dopo aver raccontato trent’anni di cronache in televisione, adesso rivela se stesso ed i luoghi della sua infanzia con dolcezza e senso di solitudine.
“Ecco l’anima del luogo” è una saga, la storia intima di una famiglia del Sud, una famiglia sana, perbene, come mille altre, alle prese in quegli anni con i mille problemi lasciati dalla guerra, cui segue la ricostruzione che porterà alla rinascita.
Racconta della casa del “rosmarino”, che è la casa natale di Gregorio Corigliano, a San Ferdinando, dove tutto ruota attorno ai ricordi passati.

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“Nel mare delle parole scritte per esser lette – scrive nella prefazione la scrittrice Barbara Alberti- ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze…”.
Nel rivelare se stesso, però, Corigliano racconta la storia di un popolo, quello calabrese, eternamente in bilico tra miseria e disperazione, eternamente in viaggio e in cammino, e in particolare la storia della “Piana”, quella di Eranova e Gioia Tauro, dei suoi aranceti, dei suoi contadini, dei suoi artigiani, dei suoi mandriani di pecore, dei suoi sacerdoti. Così come la storia del mare .che sta di fronte alla sua casa natia, a due passi dal porto di Gioia Tauro, una landa di sabbia che sembrava bagnata dalla fortuna, poco più avanti la Costa Viola, con i profumi dell’Aspromonte, una montagna quasi sacra, irraggiungibile ed eternamente tormentata dalla paura di violenze inconfessabili.

È uno scrigno di ricordi, una cassaforte di emozioni, narrazione romantica e avvincente di una Calabria che non c’è più, dove gli uomini partivano per la guerra e a casa rimanevano donne e bambini, dove i bambini per tutta la vita hanno sognato la stretta di mano da padri invece condannati alla solitudine e ai lavori massacranti di un popolo errante.

“Leggendo il saggio di Gregorio Corigliano- scrive Luigi Sbarra, Segretario Generale della Cisl, nella sua introduzione al libro – il ricordo va a mio padre, che ho aiutato nel lavoro durante gli anni di studio, e che mi ha insegnato la gioia del lavoro manuale e della “fatica dignitosa”. Facevamo una vita semplice insieme alle mie sorelle, a mio fratello e a mia madre, che avrebbe voluto un figlio avvocato. Invece si trovava un sindacalista, un militante che correva da un’assemblea all’altra in Aspromonte, nelle aziende agricole e florovivaiste per organizzare le battaglie contro lo sfruttamento di braccianti e forestali. All’inizio non approvava e aveva paura per me. Poi, quando ha visto le prime vittorie, le prime conquiste, ha capito e mi ha sostenuto senza riserve”.

Proprio per questo il libro di Gregorio Corigliano è una breccia tra romanzo e saggio, di forte impatto mediatico e di valore antropologico, dove predomina il linguaggio del cuore e dove la prospettiva è l’immagine melanconica che lo scrittore offre; basti pensare, per esempio, a quei piccoli cimiteri di paese, dove dietro ogni fotografia e ogni lapide si celano e si conservano storie di famiglie patriarcali deluse dalla vita e frantumate dalle fatiche quotidiane della vita.

“Ogni luogo -sottolinea nella postfazione Manuela Molinaro- ha quel che i romani chiamavano “genius loca”, il genio del luogo, quell’anima che Gregorio ha scoperto in San Ferdinando, quel posto in cui ha camminato, in cui cammina e che lo accoglierà sempre con il suo mare e quel taccuino pronto a scrivere una nuova storia, perché la necessità di raccontare per lui (e per l’autore) non sarà mai abbastanza”.

Stato, politica, sanità, religione, vita reale di tutti i giorni, che vuol dire anche malaffare e criminalità organizzata, quello che Gregorio Corigliano espone in questo personale diario di viaggio è un Sud che non esiste più, ma che ha lasciato da queste parti segni indelebili e pesanti del proprio essere. Storia di una Calabria per certi versi arcaica, ma quanto mai reale e soprattutto attuale, dove i giovani di oggi sembrano essere destinati alla stessa sorte dei padri o dei nonni, figli in continuo movimento: allora era detta emigrazione, oggi la chiamano fuga di cervelli, ma il senso è lo stesso di allora.

Si parte e non si torna, o quando si torna si è troppo vecchi per cambiare le cose. E il sogno dei padri si trasferisce nei figli, che a loro volta lo trasferiscono ai nipoti. È il Sud del Sud, dove tutto cambia ma solo perché nulla in realtà possa cambiare realmente, un Sud ancora fermo, immobile, bloccato dalla storia e dal progresso, che in certi quartieri e in certe realtà periferiche è ancora aria che cammina. Ma è a questo Sud, cosi lacerato, così ancora lontano dal mondo, cosi tragico, che il vecchio cronista dedica le sue pagine più intense.

Gregorio Corigliano offre così al lettore una sorta di lettera d’amore aperta alla terra che lo ha visto nascere, crescere e invecchiare; una lettera d’amore alla gente di Calabria che, come l’autore, continua a vivere sospesa tra inferno e paradiso, tra delusioni e speranze, tra sogni visionari e la dura realtà di questi tempi.

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