Il racconto ed il ricordo delle tragedie passate, scrive il premio Nobel Imre Kertès, deve soprattutto servire a capire il male e la sua genesi
di Alberto Capria
A 20 anni dalla sua istituzione, il Giorno della memoria suscita ancora commozione e turbamento, dubbi e interrogativi.
Le parole del Presidente Mattarella aiutano a comprendere meglio i prodromi di ciò che è stato: “Il nazismo ed il fascismo, non furono funghi velenosi nati per caso nel giardino ben curato della civiltà europea. Furono il prodotto di pulsioni e di correnti pseudo culturali che affondavano le radici nei decenni precedenti. Ed allora– è sempre il Presidente Mattarella che parla– bisogna essere guardinghi da rigurgiti e paure simili a quelli che, nel primo Novecento, portarono l’Italia ad affidarsi «all’uomo forte»: la fiducia nel potere diventava un atto di fede cieco e assoluto. L’arbitrio soppiantava la legge”.
80 anni dopo l’apertura dei cancelli di Auschwitz-Birkenau, le parole del Presidente della Repubblica sollecitano nuove attenzioni e riflessioni su tutto quello che è accaduto; reso possibile perché molti hanno osservato senza vedere, hanno udito senza ascoltare.
Una sola parola: indifferenza, scritta a caratteri cubitali al Memoriale della Shoah, Binario 21, Stazione Centrale di Milano.
Negando le libertà fondamentali dell’uomo, abdicando alle conquiste sociali conseguite o pensando di risolvere i problemi affidandosi all’uomo forte, ci si avvia verso un percorso concentrazionario dal quale, una volta intrapreso, è molto difficile tornare indietro.
Tutte le volte che si fa finta di non vedere o non udire, ci comportiamo da “abitanti” e non da “cittadini”, diventiamo – che ci piaccia o meno – conniventi: esattamente come lo Stato Italiano negli anni ’30 del secolo scorso; questo, oltre al ricordo perenne, il messaggio da cogliere nel Giorno della memoria.
Si viva una vita piena, si rifletta costantemente, ci si indigni, si alzi la voce, si protesti civilmente, si partecipi attivamente: anche questo è il valore ed il senso di una Giornata della memoria che vada oltre il singolo giorno, che non si trasformi in una ricorrenza, che oltrepassi mostre e convegni, incontri e commemorazioni.
Solo così onoreremo le vittime del “folle processo di arianizzazione” del regime nazista condiviso, con l’emanazione delle leggi razziali del 1938, dal governo fascista.
Marcello Pezzetti, apprezzato storico ed esperto di Shoah, lo ha più volte ribadito: “i vertici dello Stato di allora, sapevano benissimo cosa stava accadendo in Italia (Fossoli, Tarsia, Servigliano, San Sabba) in Polonia (Auschwitz, Birkenau, Treblinka) in Germania (Buckenwald, Dachau, Mauthausen), ma anche in Olanda, Grecia, Austria, Lituania”.
Dobbiamo tenere accesa la fiaccola della memoria: soprattutto adesso che, per legge di natura, i sopravvissuti ai campi di concentramento diminuiscono. Dobbiamo dare sostanza al “ricordatevi che questo è stato” di Primo Levi.
“Se io vi accompagno malgrado la mia età e la sofferenza – ci ha più volte detto Sami Modiano nei tanti Viaggi della memoria ad Auschwitz cui ho avuto il privilegio di partecipare – è perché sono stato scelto per dirvi che quando noi non ci saremo, ci sarete voi. Questa è la mia speranza”.
La Costituzione Repubblicana, nata dalla Resistenza, ha cancellato le ignominie della dittatura, ma non ha mai inteso dimenticarle.
Il racconto ed il ricordo delle tragedie passate, scrive il premio Nobel Imre Kertès, deve soprattutto servire a capire il male e la sua genesi: in via residuale a … celebrare una ricorrenza.