Tre le persone arrestate e beni per oltre 700 mila euro sequestrati ai 151 soggetti indagati
La Guardia di Finanza di Reggio Calabria ha arrestato tre persone e posto sotto sequestro beni per oltre 700 mila euro nei confronti di 151 soggetti indagati per reati di associazione a delinquere, truffa ai danni dello Stato, falso, sostituzione di persona, accesso abusivo a sistema informatico.
Le indagini, partite nel 2019, hanno permesso di scoprire un’articolata associazione a delinquere dedita alla commissione di condotte illecite che hanno causato un danno all’Agenzia delle Entrate, consentendo agli indagati di percepire rimborsi IRPEF non spettanti.
Una segnalazione della Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Reggio Calabria, metteva in evidenza diverse anomalie sulla compilazione di alcune dichiarazioni fiscali, ha portato le Fiamme Gialle reggine ad indagare, ed è stato scopeto che gli arrestati acquisivano le credenziali di accesso ai servizi telematici dei contribuenti, o tramite il coinvolgimento di pubblici ufficiali infedeli o ottenute mediante la diretta comunicazione da parte dei contribuenti stessi, molti ignari del loro coinvolgimento, in questo modo riuscivano a sostituirsi a questi ultimi, a inserire le relative dichiarazioni, a gestire le pratiche di rimborso e a verificarne il buon esito.
L’organizzazione era di tipo verticistico, con a capo i tre arrestati, quindi c’erano altri soggetti “intermediari” che avevano il compito di “procacciare” i contribuenti da coinvolgere, agendo secondo una precisa spartizione territoriale, ed infine alcuni contribuenti che, dietro la proposta di denaro facile sotto forma di rimborsi, accettavano fornire i propri dati personali, le credenziali di accesso al portale dell’Agenzia delle Entrate e la documentazione necessaria alla presentazione delle dichiarazioni fiscali fraudolente.
Questi ultimi erano selezionati tra parenti o amici degli stessi procacciatori o nell’ambito di intere categorie di soggetti come alcune associazioni di pescatori dell’area tirrenica, i dipendenti di alcune società a partecipazione statale e i dipendenti di talune aziende operanti in aree portuali calabresi.
Gli organizzatori del meccanismo fraudolento provvedevano ad alterare le dichiarazioni fiscali attraverso diverse modalità, quali l’indicazione, nell’elenco dei familiari a carico, di soggetti (coniuge, figlio, figlio con disabilità) appartenenti di fatto ad altro nucleo familiare e/o comunque non riconducibili al dichiarante, ovvero di cittadini italiani cancellati dall’Anagrafe dei comuni italiani e iscritti all’A.I.R.E (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero); l’inserimento di spese sanitarie, spesso anche di ingente entità, inesistenti e/o non giustificabili dal dichiarante; la richiesta di rimborsi IRPEF in relazione a ritenute fittiziamente subite con riguardo a redditi falsamente percepiti.
I vertici del sodalizio, per non essere individuati, adottavano una serie di accorgimenti, come ad esempio, l’assenza di contatti diretti con i contribuenti finali, in modo da salvaguardare la propria identità, oppure l’utilizzo di una rete di operatori CAF inesistenti dislocati sul territorio con l’apertura di veri e propri centri di raccolta che, accreditati presso sigle sindacali nazionali, nei fatti si rivelavano invece fittizi e servivano solo alla trasmissione dei modelli dichiarativi fraudolenti. Inoltre, allo scopo di ridurre al massimo il rischio di essere scoperti, il rimborso indebitamente richiesto e ottenuto veniva sempre limitato ad una somma inferiore a euro 4.000, che è poi il limite oltre il quale è prevista l’attivazione delle procedure automatizzate di controllo in tema di dichiarazioni dei redditi.
Questo sistema, che nel tempo si era ramificato su un vasto territorio della provincia di Reggio Calabria, aveva raggiunto una portata talmente ampia da attirare anche l’attenzione di alcune cosche di ‘ndrangheta, in particolare di quella dei Pisano detti “i Diavoli”, egemone nella piana di Gioia Tauro, tanto che per ogni rimborso non dovuto, ciascun soggetto restituiva al sodalizio il 40% del percepito, trattenendo per sé il restante 60%.
In tutto sono stati trovati 1.200 modelli dichiarativi infedeli, relativi agli anni di imposta dal 2016 al 2022, che hanno consentito indebiti rimborsi per un importo complessivo pari ad oltre 700 mila euro.