Il clamoroso verdetto riporta tutto alla prima sentenza del Tribunale di Vibo Valentia: il lavoro portato avanti dal Curatore era da tenere nella giusta considerazione
La Prima Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, la quale, nel procedere al suo nuovo esame dovrà tenere conto ed attenersi ai principi illustrati in questa sentenza.
La vicenda è quella relativa al caso della Cof Spa e le altre società che la Corte d’Appello di Catanzaro aveva dichiarato non fallite – la Cof Spa, la Geosapori Srl, la B&F Srl, la Vittoria Trasporti Srl, la Ortomania e la Sapori mediterranei – che avrebbero formato una supersocietà che avrebbe avuto lo scopo di pilotare i fallimenti per intercettare poi finanziamenti pubblici. Un assunto, questo, sul quale la Procura di Vibo Valentia e la Guardia di Finanza avevano fondato la propria attività d’indagine.
Di fatto, i giudici di Cassazione hanno censurato l’operato dei colleghi catanzaresi della Corte d’Appello, i quali avevano accolto i reclami revocando la sentenza ritenendo che la curatela di Geosapori non era stata capace di addurre ragionevoli elementi di prova in relazione all’esistenza di un’insolvenza della supersocietà che fosse diversa dalla (reale o presunta) insolvenza delle società che ad essa si assumevano partecipare; aggiungeva che il tribunale, a questo riguardo, si era limitato a trascrivere integralmente il brano dell’istanza della curatela di Geosapori, che, a sua volta, era costituito esclusivamente dalla allegazione di elementi sintomatici dell’insolvenza delle singole società; sottolineava, inoltre, che la curatela non era stata capace di individuare a monte un oggetto sociale che fosse cosa diversa ed ulteriore dalla somma degli oggetti sociali delle singole società coinvolte.
Non così, invece, a giudizio della Prima Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, che ha ritenuto fondato quanto rilevato dal Curatore Francesco Pontoriero, per cui questa Corte, esaminati i diversi motivi, è arrivata alla conclusione che “La supersocietà di fatto si caratterizza, pertanto, per il fatto che nella stessa tutti i soci perseguono un comune intento sociale (Cass. 4784/2023), ma non necessita affatto che l’impresa comune sia diversa da quella esercitata, nella sua complessità, dal fallito e dai suoi soci occulti. Ne discende, nel caso di coincidenza dell’attività di impresa della supersocietà di fatto e, complessivamente, dei soggetti suoi soci, che l’insolvenza di questi ultimi può contribuire a ravvisare la condizione di insolvenza della prima, essendo dipendente dalla medesima attività imprenditoriale”.
“Allo stesso modo – è la tesi della Prima Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione – in forza della medesima norma, sono giuridicamente imputabili alla supersocietà occulta, ove riferibili alla predetta impresa comune, i debiti assunti, in nome proprio ma per conto della stessa, dagli altri soci occulti successivamente risultati. Ma se i debiti assunti (sia pure in nome proprio) dal soggetto (imprenditore individuale o società) già fallito in relazione all’impresa sociale sono, in realtà, giuridicamente imputabili alla società occulta o di fatto successivamente emersa, l’insolvenza di tale società, seppur autonoma, può essere, allora, senz’altro direttamente desunta da tali debiti e dall’impossibilità della stessa di farvi fronte con mezzi normali di pagamento”.
Ecco perché la Prima Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro, demandando alla stessa, ma con diversa composizione, una nuovo dibattimento che riparte, quindi da quanto sentenziato del Tribunale di Vibo Valentia.