Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 30 marzo
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime,carissimi,
nel vangelo di oggi 4ª domenica di Quaresima, Gesù ci presenta la parabola più famosa, più bella, più rivoluzionaria, più attuale, la quale si svolge attorno a tre personaggi: un figlio, ribelle, un padre misericordioso, un fratello pesante. Ascoltiamo la parabola del Padre misericordioso:
“Disse loro questa parabola. Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre:” Padre dammi la parte del patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro, le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, parti per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”… (Luca 15,1-32)
È la storia di una famiglia, come tante, composta da un padre con due figli e senza la presenza della madre. Nonostante il padre, attento ed amorevole, i due figli vivono senza dialogo, senza amore. Eccoli!
Il maggiore è tutto campi e casa, freddo nei rapporti familiari, senza musica dentro, senza festa nel cuore.
Il minore è inquieto, insoddisfatto ma pieno di sogni. E un giorno apre la porta e va via, senza salutare, con tanti soldi in tasca. (Aveva ricevuto dal padre la sua parte di eredità). Lontano cerca la felicità nelle cose, nei piaceri, nelle feste, nel gioco… E si perde nei bassifondi dell’esistenza umana.
Si perdono così, oggi, tanti giovani, sprofondati nell’inferno della droga, dell’alcol, della violenza, della prostituzione, ingoiati da una inquietudine che non dà pace e non si placa mai.
E si perde anche il figlio maggiore dietro il ritmo del lavoro dei campi, delle stagioni che vanno e vengono, dietro l’incertezza dei raccolti, dietro un tempo tiranno che non ti permette di mangiare neanche un capretto con gli amici.
Il figlio maggiore, oggi, è l’icona di tutti i devoti, senza cuore, dei praticanti la chiesa senza amore e senza misericordia. E sono tanti!
E ci perdiamo un po’ tutti noi, quando rompiamo una lunga relazione di amicizia, quando non ci sentiamo motivati sul campo del lavoro, quando il peso delle negatività, sulla bilancia della vita, pende a discapo della positività.
E allora quando la festa è finita e gli amici diventano sempre più rari, è tempo per il figlio minore di tornare in sé: “Quanti salariati, in casa di mio padre hanno pane in abbondanza, e io, qui, muoio di fame! Mi alzerò ed andrò da mio padre”. Inizia così il cammino della redenzione. Lascia il figlio ribelle la guardiania dei porci (occupazione ritenuta immonda per gli ebrei!) e lacero e mendico, si incammina verso casa.
Nella vita c’è sempre qualcuno che ci attende… E lui, il figlio minore, é atteso, da anni, da quel padre che, nel rispetto della sua libertà, l’aveva lasciato andare, anche se temeva, in cuor suo, che si sarebbe fatto male. E quanto male veramente si è fatto! Ha perso tutto il patrimonio, ma, ancor più ,ha perso la dignità, fino a trovarsi solo, affamato, in una porcilaia, a contendersi per fame le ghiande con i maiali.

Torna a casa il figlio ribelle e, per fortuna sull’uscio di casa, non incontra il fratello maggiore, il quale, probabilmente, l’avrebbe trattato con disprezzo. C’è invece sulla porta il padre che, riconoscendolo, corre e lo abbraccia e lo bacia sul collo, tenendolo stretto. Non gli fa un processo: da dove vieni, perché hai fatto tutto questo, te l’avevo detto che saresti finito male. No! Non gli fa domande, dà abbracci e lacrime di gioia.
Sono questi i gesti affettuosi del padre che restituiscono al figlio la dignità perduta, sigillata col ricevere il vestito più bello, l’anello segno di reintegro nella famiglia, i calzari, distintivo degli uomini liberi. (I servi vivevano scalzi!)
Rembrandt (Leida, Paesi Bassi 1606- 1669), dipingendo questo episodio, mette in evidenza le mani del padre che abbracciano il figlio: una mano è femminile e una mano è maschile. Il figlio finalmente ha un amore completo, l’amore del padre e quello della madre, in mancanza della quale, si era perduto.
Il padre per il figlio perduto e trovato fa ancora di più. Affinché la gioia sia piena organizza una festa con suoni e canti e fa uccidere il vitello grasso.

Il padre misericordioso tenta anche di recuperare il figlio maggiore, il quale, tornando dai campi, si ferma sull’uscio di casa e non vuole partecipare alla festa del ritorno del fratello dissoluto. Ecco le parole del padre rivolte al figlio maggiore: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava fare festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
È questo il Dio che ci presenta Gesù Cristo. È questo il nostro Dio, con la porta sempre aperta, col cuore sempre più grande, con un amore che sa di padre e di madre.
” Dio è anche madre” (Papa Luciani).
Buona domenica. Don Giuseppe.