Dazi: le possibili conseguenze sui prezzi. Intanto, l’Istat segnala nuova accelerata per l’inflazione che a marzo segna il +2%
L’atteggiamento aggressivo del Presidente Trump è, dunque, sfociato in una pomposa dichiarazione di guerra commerciale al resto del mondo, di stampo ottocentesco, fatta ieri con l’immediata applicazione di dazi sulle importazioni, assurdamente motivati e variamente modulati a carico dei diversi Paesi di provenienza dei beni in ingresso nel mercato USA, per di più accompagnata da minacce di ulteriori ritorsioni nei confronti di quanti non accettassero di sottostare a tanta arroganza padronale.
L’Unione Europea, di cui si attendono le adeguate contromisure, è colpita da dazi doganali fissati al 20% sul proprio export verso gli Stati Uniti, mentre la Gran Bretagna viene “graziata” con un’aliquota dimezzata, del 10%.
È certo che questi dazi avranno un forte impatto sulle produzioni italiane, in particolare, oltre che nei comparti della meccanica e della farmaceutica, in tanta parte delle manifatture made in Italy e sui nostri eccellenti prodotti agroalimentari, DOP, IGP, STG, come vini e formaggi, molto apprezzati ed esportati oltreoceano, e questo si potrebbe riverberare negativamente sull’occupazione.
L’export italiano è più esposto della media UE verso il mercato statunitense, con vendite complessive superiori al 16% dell’export totale, e Secondo stime del nostro Osservatorio Nazionale, con i dazi a questo livello si rischia una diminuzione di circa l’8%, che la debole domanda interna avrà difficoltà a compensare. Ma si temono ripercussioni anche sul fronte dei prezzi, poiché da un lato le aziende potrebbero tentare di scaricare sul mercato interno i minori margini di guadagno all’esterno, dall’altro i probabili contro-dazi europei sui prodotti Usa importati ne aumenteranno i prezzi al consumo.
Nel complesso, si stima un impatto negativo sul Pil italiano di 6 o 7 decimi, tanto quanto la crescita programmata dal Governo, così azzerata con conseguenze sul piano fiscale.
Intanto, torna a correre veloce il tasso di inflazione che, dall’1,6% di febbraio, passa al +2% di marzo. A crescere maggiormente, ancora una volta sono i prezzi dei beni energetici (+3,2%) e quelli alimentari (+3,3% per i non lavorati). In rialzo anche il carrello della spesa, che segna quota +2,1%. Con l’inflazione a questi livelli, l’O.N.F. – Osservatorio Nazionale Federconsumatori stima ricadute, per una famiglia media, pari a +632,00 euro annui, di cui +184,80 solo nel settore alimentare.
Questa nuova accelerata sottolinea, con maggiore urgenza, la necessità di intervenire per frenare i rincari, in campo energetico ma non solo. È urgente, infatti, disporre sostegni e misure che tutelino il potere di acquisto delle famiglie, ormai ridotto ai minimi termini. Non dimentichiamo, infatti, che secondo le ultime rilevazioni dell’O.N.F. – Osservatorio Nazionale Federconsumatori, le famiglie continuano a operare tagli e rinunce: riducendo il consumo di carne e pesce (-16,9%, con uno spostamento anche verso il consumo di tagli e qualità meno costosi e meno pregiati); tagliando i consumi di frutta e verdura (-2,4%); ricercando sempre più assiduamente offerte, sconti, acquisti di prodotti prossimi alla scadenza (abitudine adottata dal 51% dei cittadini); rivolgendosi più di frequente ai discount (+12,1%).
Sono dinamiche che si innestano in un contesto in cui le famiglie sono già costrette a crescenti rinunce e sacrifici, che aumenteranno ancora disparità, disuguaglianze e povertà.
In ogni caso, la narrazione governativa che saremmo stati “immuni” dalla minaccia dei dazi è smentita dalla realtà di una guerra commerciale che ha disvelato insieme sia i veri spiriti animali del capitalismo americano, sia tutta l’ingenuità della nostra politica estera.
È evidente che non resta altra strada per l’Italia che rinsaldare i rapporti con le politiche europee e gli altri Paesi dell’Unione, per non condannarci alla marginalità e alla recessione.