Partiti di maggioranza ed un forte movimento d’opinione hanno sposato l’idea di trasformare Vibo Marina in un centro esclusivamente turistico. Nessuno però che si sia posto il problema di cosa fare concretamente. Nessuno che abbia provato ad ascoltare la voce delle lavoratrici e dei lavoratori della Meridionale Petroli
Il sindaco Enzo Romeo immagina Vibo Marina come un esclusivo centro turistico che faccia concorrenza con quei nomi che da oltre un lustro sono diventati un’attrattiva finanche internazionale. Su come realizzare questo, però, ancora c’è un’idea precisa, solo dichiarazioni d’intenti e nessun progetto, nemmeno una programmazione; ma c’è una certezza: il male assoluto di Vibo Marina, che un tempo fu il terzo polo industriale della Calabria, oggi è rappresentato dai depositi costieri; più di tutti e soprattutto – ma perché? – quelli della Meridionale Petroli. Dinanzi a questi, Enzo Romeo si è posto di traverso, in posizione antagonista, non più disposto a confermare le concessioni ed intimando una delocalizzazione, con tempi così perentori da sembrare impossibili, irrealistici, eppure…
Questa posizione trova il sostegno dei suoi partiti di maggioranza: riceve, quasi in tempo reale, il plauso del gruppo consiliare dei Democratici e Riformisti; quindi, la dichiarazione congiunta dei segretari comunale e provinciale del PD, che la definiscono: “una scelta di responsabilità attesa da decenni, fondamentale per la sicurezza della cittadinanza, la salvaguardia dei posti di lavoro e dell’indotto, la valorizzazione turistica del porto e la costruzione di nuove prospettive di sviluppo economico per tutto il territorio”.
“L’unità che l’aula consiliare ha saputo trovare – scrivono Gernando Marasco e Teresa Esposito – rappresenta una risposta concreta ai bisogni della comunità e testimonia la maturità e la visione di bene comune che la politica cittadina può avere, al di là delle diverse sfere di appartenenza”.
A tutto ciò si aggiunge il consigliere regionale Ernesto Alecci, che, volendo condividere la posizione espressa dalla capogruppo dei Democratici e Riformisti, Alessandra Grimaldi, ha annunciato di voler “presentare un’interrogazione al Presidente della Giunta regionale e agli assessori all’Ambiente e allo Sviluppo Economico. La mia iniziativa – spiega – intende sollecitare la Regione Calabria ad assumere una posizione ufficiale in merito alla proposta di spostamento dei depositi costieri e alla riconversione dell’area portuale, così come richiesto in maniera unanime dal Consiglio Comunale della Città”.
Anche lui, Alecci, è convinto che: “La rinascita di Vibo e l’avvio di un nuovo percorso di sviluppo non può certamente prescindere da una riconversione dell’intera area portuale, che dovrà via via abbandonare la vocazione prevalentemente industriale per ambire a diventare un importante hub turistico e commerciale, favorito dalla strategica posizione geografica. La riprogrammazione dell’area non può, dunque, essere condizionata dalla presenza di strutture, come ad esempio i depositi della Meridionale Petroli, che rischiano di inficiare sul nascere qualunque tipo di progetto di riconversione”.
Insomma, per quanto non siano gli unici depositi presenti a Vibo Marina, quelli maggiormente attenzionati, quelli di cui si parla, quelli di cui si chiede la rimozione immediata solo proprio quelli della Meridionale Petroli. Perché e come farlo, nessuno lo spiega. Quale siano i tempi e le eventualità modalità, ancora non è dato sapere. Quali siano le conseguenze di questa “delocalizzazione”, ancora meno. Al momento è sufficiente dire che si faccia, che non è più rinviale. Addirittura, sottolineandone la pericolosità, sebbene negli oltre sessant’anni di presenza non sembra si sia verificato alcun concreto allarme di pericolosità.
Nessuno che sia posto il problema di chi lì, tra quei depositi, lavora, opera e vive. Nessuno che abbia chiesto il parere di chi è direttamente interessato.
Con un sussulto di richiamo alle vecchie battaglie operaie, care al buon vecchio PCI, Marasco ed Esposito, però, si sono posti un dubbio immaginando l’opportunità, anzi l’urgenza di: “aprire un tavolo di confronto permanente che veda la partecipazione delle forze politiche e sociali, dei sindacati, delle categorie del commercio e del turismo, nonché delle Istituzioni quali il Comune, la Provincia, la Regione e il Ministero”. E, quindi. costruire: “un dialogo ampio e condiviso”, per “rafforzare la proposta avanzata dal sindaco e delineare un nuovo corso capace di rispondere alle esigenze di tutti, affinché nessuno resti indietro e Vibo Marina possa finalmente intraprendere un percorso di crescita, sicurezza e modernità”.
Ecco, appunto. Questa redazione vuol farsi parte diligente, di un auspicabile e serio dialogo rispettoso di tutti e che non sia condizionato da slogan, belli quanto vuoti, ospitando la voce delle lavoratrici e dei lavoratori della Meridionale Petroli.
Proponiamo, quindi, ai nostri lettori l’integrale di un documento fattoci pervenire in redazione. Sentire le diverse voci e le diverse opinioni è il sale della democrazia: un contributo a conoscere per intero e senza condizionamenti la realtà, quella vera, concreta e non di comodo.
Siamo madri, padri, giovani e professionisti. Siamo lavoratrici e lavoratori, interpreti silenziosi di una Calabria operosa, concreta, che non si arrende all’assistenzialismo né alle narrazioni consolatorie. Ogni giorno, con dignità e fatica, contribuiamo al funzionamento di un’infrastruttura vitale per l’intera regione. Ed è proprio per questo che oggi, con senso di responsabilità e profonda inquietudine, sentiamo il dovere di prendere parola.
Negli ultimi giorni, alcune dichiarazioni pubbliche e una certa retorica politica sembrano aver anticipato – con leggerezza disarmante – il destino dell’area industriale su cui insiste il sito operativo di Meridionale Petroli. Non più un confronto pianificatorio, ma un indirizzo già tracciato. Si annuncia una “rinascita turistica” come fosse un progetto compiuto, relegando l’industria e l’occupazione reale a scorie del passato, da dismettere senza appello.
Si parla con enfasi di “riconversione”, di “nuova vocazione” per Vibo Marina, come se bastasse mutare una destinazione urbanistica per riscrivere l’identità socioeconomica di un territorio. Ma dietro ogni formula suggestiva si cela una rimozione sostanziale: non si dice cosa accadrà a chi lavora, a chi vive grazie a quell’indotto, a chi ha costruito – negli anni – competenze, stabilità e legami economici attorno a un’infrastruttura che non è solo funzionale, ma comunitaria.
L’area al centro del dibattito non è un vuoto da riempire, né un retaggio da cancellare. È un presidio industriale operativo, strategico, sottoposto da sempre a rigorosi controlli ambientali e di sicurezza. Da qui transita oltre il 60% dell’approvvigionamento di carburante dell’intera Calabria. Vi si servono cittadini, mezzi di soccorso, pubbliche amministrazioni, forze dell’ordine.
Smantellare questa rete senza una progettazione solida, senza garanzie occupazionali, senza un’alternativa concreta, significa compromettere la funzionalità logistica della Regione, minare la stabilità di migliaia di posti di lavoro – tra impieghi diretti e indotto – e ignorare deliberatamente il diritto al futuro di centinaia di famiglie.
Non si può sostituire il certo con l’incerto, né sacrificare un’economia esistente sull’altare di una visione ancora tutta da costruire. La trasformazione del territorio, se mai avverrà, non può iniziare con l’esclusione di chi lo abita e lo sostiene ogni giorno.
In questo quadro, ciò che più ci allarma è il silenzio – se non l’evidente fastidio – con cui una parte della politica locale tratta il tema occupazionale. Come se il lavoro fosse una variabile accessoria, un effetto collaterale della trasformazione urbanistica. Come se l’indotto generato da un’infrastruttura energetica di rilevanza nazionale potesse essere rimpiazzato, senza traumi, da una suggestione turistica ancora priva di basi economiche, progettuali e occupazionali.
Ci chiediamo, con spirito costruttivo ma con fermezza: dove sono i dati, gli studi, le proiezioni che attestino la reale capacità di un eventuale operatore turistico di garantire – in questa porzione di costa – la stessa tenuta occupazionale, la medesima stabilità fiscale e il livello di continuità infrastrutturale oggi assicurati dal sito industriale? Chi sarà in grado di assorbire le competenze, le professionalità e le vite concrete che ruotano attorno a questa filiera logistica, senza disperdere anni di esperienza, investimenti e lavoro qualificato? E ancora, chi si farà carico dell’enorme vuoto lasciato dai mancati introiti fiscali per la Regione e gli enti locali, se un presidio produttivo di tale rilievo venisse smantellato senza una strategia di compensazione reale, strutturata e credibile?
A ciò si aggiunge un elemento di metodo: la totale assenza di concertazione. Decisioni che incidono sulla vita di centinaia di famiglie sono state annunciate pubblicamente senza un tavolo preventivo di confronto con chi rappresenta i lavoratori e le lavoratrici. Le organizzazioni sindacali sono state escluse dal dibattito, le voci del lavoro marginalizzate. Eppure, qualunque transizione – anche la più ambiziosa – non può prescindere dal coinvolgimento pieno, trasparente e responsabile delle parti sociali.
Oggi, come lavoratori e lavoratrici, ci sentiamo traditi. Profondamente. Traditi da un’amministrazione che ha scelto di decidere sopra le nostre teste. Traditi da forze politiche che hanno preferito inseguire una narrazione di comodo piuttosto che confrontarsi con la realtà.
Ma non resteremo a guardare. Dietro questo sito non ci sono solo impianti e serbatoi. Ci sono migliaia di persone, tra occupazione diretta e indotto. Maestranze qualificate, competenze tecniche, filiere professionali che ogni giorno garantiscono approvvigionamento, sicurezza e continuità. Ci sono famiglie, figli da mantenere, comunità ed imprescindibili economie locali.
Faremo tutto ciò che è necessario – con determinazione e con forza – affinché questa vicenda non venga sepolta nel silenzio. Chiederemo conto, in ogni sede, di ogni scelta compiuta senza confronto. Perché non esiste sviluppo sostenibile che possa fondarsi sull’espulsione silenziosa del lavoro. Non esiste strategia pubblica credibile che si nutra di slogan invece che di dati, confronto e visione.
Le lavoratrici e i lavoratori della Meridionale Petroli, con il sostegno delle organizzazioni sindacali