Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 27 luglio
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime, carissimi,
con questa pagina del vangelo di Luca siamo sempre in cammino con Gesù, verso Gerusalemme.
Abbiamo, nelle domeniche passate, notato come Gesù ha attenzionato, di volta in volta, avvenimenti e persone. Oggi è Lui attenzionato da uno dei suoi discepoli. Andiamo al testo di questa 17.ma domenica del Tempo Ordinario: “Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suo discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”»… (Luca 11,1-13).
Nella storia religiosa del mondo ebraico ogni rabbì scriveva un suo libretto di preghiere ad uso dei suoi discepoli, come aveva fatto del resto lo stesso Giovanni Battista. Anche Gesù, secondo i suoi, se voleva avere il crisma dell’autorevolezza di rabbì, doveva consegnare ai discepoli un libro delle “ore”. E così, accogliendo la richiesta, Gesù ci lascia il Padre nostro “compendio di tutto il vangelo” (Tertulliano); “preghiera perfettissima” (San Tommaso d’Aquino).
Nel padre nostro, preghiera di domande, sette nella versione di Matteo (6,9-13), cinque in quella di Luca (11,2-4), abbiamo due dimensioni: la verticale uomo-Dio e la orizzontale uomo-uomo.
Nella prima dimensione siamo invitati a pregare il Padre chiedendo che il suo nome sia santificato sulla terra; che venga il suo regno e si manifesti nel vivere umano attraverso la pace, la giustizia, la riconciliazione. Nella seconda dimensione siamo invogliati a pregare per i nostri bisogni chiedendo:
- Il pane quotidiano, frutto della terrena e del lavoro dell’uomo; il “nostro” pane, perché “il pane solo per me è un fatto materiale, il pane per mio fratello è un fatto spirituale” (Nikolaj Berdjaev, scrittore ucraino): pane e amore, entrambi necessari, oggi e domani.
- Il perdono dei peccati, condizionato dal perdono accordato ai fratelli (Matteo 6, 14-15). Il peccato invecchia il cuore e lo rende pesante: urge, quindi, chiudere col vecchio e volare verso un futuro di libertà e di leggerezza.
- La richiesta di aiuto per non soccombere alla tentazione: chiediamo al Padre di non essere esentati dalle prove, ma di non essere lasciati soli a lottare contro il maligno, che si annida anche nelle nostre migliori relazioni.
“Noi costruiamo belle cattedrali, ma il diavolo, in silenzio, si costruisce dentro una piccola cappella” (Martin Lutero).
La novità del Padre nostro sta nella rivelazione di un Dio vicino, un Dio-Abba’ (papà). Un Dio più prossimo di Adonai, di Emmanuele, di Jahweh. Dio-Abba’, nome intimo, memoria di nascite, di tenerezza, fiducia, abbandono. “Abba’ nelle tue mani pongo il mio spirito”( Luca 23, 46). Ultime parole di Gesù sulla croce.
Oggi spesso si sente dire: che cos’è la preghiera? Perché pregare? È come chiedere perché respirare? Respiriamo per vivere.
La preghiera è il respiro della vita. Pregare è, secondo il Padre nostro, congiungere cielo e terra. Pregare é fermarsi, fare per qualche minuto, anche in una caotica città, un po’ di deserto per guardarci dentro… pregare è necessario per non perdere il senso della vita… pregare non è soltanto recitare preghiere, ma trasformare tutta la vita in preghiera: “sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate un’altra cosa, fate tutte le cose alla Gloria di Dio… ed è preghiera” (1 Corinti 10- 13).
Alla luce della parola di San Paolo riappropriamoci, quindi, del senso della preghiera più che delle preghiere. Attraverso la preghiera scopriamo il vero volto di Dio ed il vero volto nostro, convertendoci a Dio, più che tentare di convertire Dio ai nostri desideri.
Buona domenica col fare memoria di quello che hanno scritto i biografi di San Francesco di Assisi: “Francesco, negli ultimi anni della vita terrena, non aveva bisogno di pregare, perché tutto il suo corpo fisico, nel guardarlo, era preghiera”.
Don Giuseppe