Viviamo nell’epoca delle certezze urlate e delle verità assolute, ma chi ha ancora il coraggio di dire: ‘mi sono ricreduto’? Difendiamo il diritto di cambiare opinione: antidoto contro l’integralismo e i leoni da tastiera
di Maurizio Bonanno
Cambiare idea, oggi, è diventato un peccato capitale. Chi lo fa viene crocifisso dal tribunale permanente dei social, marchiato come incoerente, opportunista, traditore. È il trionfo degli integralisti della coerenza e dei leoni da tastiera, due facce della stessa intolleranza. Entrambi vivono in un mondo dove le opinioni devono restare congelate, impermeabili alla complessità del reale.
E invece cambiare idea è un diritto. Anzi: è un dovere civile e morale, quando nuove esperienze, nuove informazioni o nuove responsabilità impongono una revisione delle proprie convinzioni. In una democrazia matura, il diritto di cambiare opinione dovrebbe essere non solo ammesso, ma persino incoraggiato. È il segno di un pensiero critico che evolve, riflette e si confronta con la complessità della realtà.
Viviamo in un’epoca paradossale: tutti invocano il pensiero critico, ma poi si scandalizzano quando qualcuno osa cambiare idea. Il diritto di modificare un’opinione – soprattutto se frutto di un percorso di riflessione e di responsabilità – dovrebbe essere accolto come segno di onestà intellettuale. Invece, viene spesso trattato come un atto di viltà, un tradimento, una “capriola”.
Il caso del ministro della Giustizia Carlo Nordio è emblematico: bersaglio di attacchi non tanto per ciò che fa, ma per ciò che non corrisponde più perfettamente alle sue idee del passato. Ma siamo davvero sicuri che la coerenza a tutti i costi sia sempre una virtù?
Carlo Nordio, ex magistrato e intellettuale di taglio garantista, ha espresso per anni opinioni nette su intercettazioni, poteri della magistratura, abuso della custodia cautelare. Da editorialista e opinionista libero da vincoli istituzionali, aveva spazio per denunciare storture e immaginare soluzioni ideali. Oggi, da ministro, il suo campo d’azione è molto diverso: vincoli politici, equilibri parlamentari, resistenze interne ed esterne.
Pretendere che un uomo, entrato in un ruolo operativo e politico, debba replicare punto per punto le sue opinioni di quando era osservatore esterno, è semplicemente infantile. È il classico atteggiamento dell’integralista della coerenza, che non distingue tra fedeltà ai principi e rigidità ideologica. Cambiare idea in base a nuove responsabilità non è un segno di incoerenza: è il contrario del dogmatismo.
Cambiare idea non è un peccato, anzi. In politica può essere persino virtuoso se motivato da nuove conoscenze, nuove prove, contingenze mutate.
E poi, le critiche più feroci rivolte a Nordio non arrivano dai garantisti delusi, ma dagli ultras della purezza ideologica. Sono gli stessi che pretendono che un intellettuale non possa mai rivedere una posizione, neppure alla luce di nuove informazioni, ruoli o dinamiche. Questa ossessione per la “fedeltà assoluta” finisce per distruggere ogni spazio di evoluzione. È la logica che trasforma l’opinione in una gabbia, e il pensiero in un vincolo.
A cosa serve un pensatore, un tecnico, un politico, se non può mai cambiare prospettiva?
È proprio l’intelligenza critica a richiedere il coraggio di abbandonare convinzioni che si rivelano inadeguate. La pretesa che una persona non cambi mai opinione è puerile e disonesta. Solo gli sciocchi – diceva Oscar Wilde – non cambiano mai idea.
I fanatici della coerenza non vogliono confronto, vogliono conformismo. Non tollerano che qualcuno esca dal perimetro ideologico in cui loro l’hanno incasellato. E così, chi riflette e si evolve viene processato come “voltagabbana”.
Ma la coerenza non è dire sempre le stesse cose: è restare fedeli ai valori, anche quando le strategie cambiano. Nordio, piaccia o no, continua a portare avanti battaglie garantiste – con gli strumenti e i limiti del suo ruolo istituzionale. E chi oggi lo critica per non aver fatto la rivoluzione in sei mesi, finge di ignorare che la giustizia non si cambia con uno slogan sui social.
Il fenomeno si aggrava con il contributo quotidiano dei leoni da tastiera, professionisti dell’indignazione a comando. Commentano tutto, studiano nulla, massacrano chiunque non parli il loro linguaggio. Sono gli stessi che ieri difendevano il pluralismo e oggi insultano chi osa cambiare opinione. Il loro obiettivo non è il dialogo, ma l’umiliazione dell’altro.
Gli stessi che accusano Nordio di incoerenza dimenticano che in politica – come nella vita – nessuno è coerente al 100%. L’integralismo della coerenza è solo un’arma retorica, usata per delegittimare chi prova a governare la complessità. È facile essere coerenti quando non si hanno responsabilità. È più difficile – ma anche più autentico – riconoscere che la realtà impone compromessi, adattamenti, ripensamenti.
Non è Nordio il problema. Il vero problema è una cultura pubblica che punisce chi riflette, chi corregge, chi riconsidera. Una cultura che pretende dogmi invece che dialogo, fedeltà cieca invece che responsabilità dinamica. E che trasforma ogni ripensamento in una colpa.
Difendere il diritto di cambiare opinione – anche per un ministro – significa difendere l’intelligenza, la libertà e il coraggio di affrontare la realtà. E finché prevarranno gli inquisitori della coerenza assoluta, la politica continuerà ad affogare nella recita ipocrita di chi preferisce sembrare coerente piuttosto che essere sincero.
In questo clima tossico, cambiare idea diventa così un atto di coraggio. È andare contro l’onda, esporsi a critiche ingiuste, rivendicare il diritto di essere umani e fallibili. In un mondo sano, sarebbe normale. In questo, è quasi rivoluzionario.
Ed allora, basta con l’ossessione della coerenza muscolare, basta con la gogna contro chi si evolve. Difendere il diritto di cambiare opinione significa difendere la libertà del pensiero e la dignità della politica. Significa riconoscere che solo chi è disposto a rimettersi in discussione può davvero capire, migliorare, governare.
Il giorno in cui smetteremo di giudicare le persone per ciò che dicevano dieci anni fa e cominceremo a valutarle per il percorso che hanno fatto, forse torneremo a parlare di una società adulta, realmente democratica. Quella dove vorremmo vivere!