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Giovani in cammino: oltre l’apparenza, una sete di senso

Dio continuerà a seminare, ma il terreno, quello buono, si trova solo nel cuore di chi è disposto a farsi inquietare, di chi ha il coraggio di cercare oltre ciò che si vede

di Don Danilo D’Alessandro

Tra pochi giorni, Roma si riempirà di voci, volti, passi. Il Giubileo dei giovani, atteso evento dell’Anno Santo, radunerà oltre 500.000 ragazzi provenienti da ogni parte del mondo. Una settimana di incontri, esperienze, liturgie, domande, fraternità. Una Chiesa che si fa giovane, almeno nel volto, nella lingua, nello slancio. Ma sarà anche un tempo di verità?

Me lo chiedo perché 25 anni fa, anch’io mi trovavo lì, in quello stesso luogo, al fianco di centinaia di ragazzi della mia diocesi, nel mio ruolo allora di vice-direttore dell’Ufficio di Pastorale giovanile. I loro volti oggi sono cambiati: sono diventati padri, madri, uomini e donne adulti. Ma l’esperienza vissuta allora rimane scolpita nei loro cuori come tappa fondamentale del loro cammino spirituale. Non perché “bella” o “emozionante”, ma perché vera. Perché in quell’incontro hanno intravisto Cristo, anche solo per un istante, anche solo di riflesso.

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Oggi si parla molto dei giovani: della loro lontananza dalla Chiesa, della loro apatia religiosa, della loro dipendenza dai social. Ma chi ha il coraggio di andare oltre? Chi sa leggere in profondità, senza fermarsi all’estetica o alle apparenze filtrate da Instagram e TikTok?

Eppure, lo dico con convinzione: i giovani non sono superficiali — sono feriti. Non sono indifferenti — sono confusi. Non sono vuoti — sono in cerca.

Dietro l’apparente disinteresse per la fede, c’è spesso un desiderio inespresso di verità. Dietro un’estetica a volte provocatoria o spenta, c’è una fame di bellezza autentica. Dietro lo schermo di uno smartphone, può nascondersi un cuore che grida silenziosamente per essere ascoltato.

Pochi giorni dopo la fine del Giubileo romano, l’attenzione si sposterà su Medjugorje, dove circa 80.000 giovani — in gran parte dai Paesi dell’Est Europa — si raduneranno per il Festival della Gioventù. Un evento meno noto, meno mediatico, ma spesso più radicale, più silenzioso, più interiore. Lì, nel silenzio dell’adorazione, nella confessione a cuore aperto, nella veglia notturna, tanti giovani sperimentano una fede incarnata e viva. Una fede che non si impone, ma si propone; che non giudica, ma accoglie.

Davvero la fede è scomparsa dal cuore delle nuove generazioni?

Davvero Cristo è diventato un nome qualunque, un ricordo sbiadito?

Davvero la religione è solo un optional per pochi nostalgici?

Mi permetto di dubitare. Anzi, mi permetto di credere, ancora una volta, che Cristo non ha smesso di camminare accanto ai giovani. Solo che lo fa in silenzio, nell’attesa che qualcuno si accorga di Lui.

E noi adulti — pastori, educatori, genitori, testimoni — che facciamo? Ci limitiamo a lamentarci del loro “distacco”, o ci avviciniamo con delicatezza al loro silenzio? Li critichiamo per come appaiono, o cerchiamo di comprendere ciò che li abita? Li paragoniamo a noi, o li amiamo per quello che sono?

Non servono spettacoli. Serve verità.

Non servono format accattivanti. Serve incontro.

Non serve parlare tanto. Serve ascoltare.

In questi eventi, a Roma come a Medjugorje, Dio continuerà a seminare. Ma il terreno, quello buono, si trova solo nel cuore di chi è disposto a farsi inquietare, di chi ha il coraggio di cercare oltre ciò che si vede.

E i giovani, nonostante tutto, hanno ancora questo coraggio. Lo hanno dentro. Spetta a noi accenderlo, custodirlo e non tradirlo.

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