Fondatore dell’Oasi Francescana, la sua figura, tra tonaca e sciarpa rossoblù, resterà impressa nella memoria collettiva
Si è spento nella notte Padre Fedele Bisceglia, 87 anni, frate cappuccino e volto indelebile della solidarietà calabrese. Una figura poliedrica e complessa, amata da molti, criticata da altri, la cui esistenza ha intrecciato carità evangelica, passione per il calcio e una fede tenace, segnando profondamente chi gli è stato accanto, tra luci e ombre di un lungo cammino giudiziario.
Cosenza perde uno dei suoi simboli più autentici. Il “frate ultrà” se ne va, lasciando vuoti che non si riempiranno facilmente. Nei momenti recenti ha affrontato i limiti dell’età, ma fino all’ultimo è rimasto nel cuore della comunità che adesso lo piange con voce rotta dal dolore.
Nato a Laurignano il 6 novembre 1937 e ordinato nel 1964, fu per anni superiore del Convento di Acri e, dal 1980, segretario delle missioni estere in Africa. In terre martoriate conobbe da vicino la povertà, la sofferenza e la piaga della lebbra, scegliendo di dedicare la vita agli ultimi, agli emarginati, a chi non aveva voce.

Tra le immagini più iconiche di Padre Fedele resta quella del prete in tonaca tra gli spalti del San Vito-Marulla, cuore pulsante della tifoseria rossoblù. Si autodefiniva “prete ultras” e negli anni Ottanta promosse il primo raduno nazionale degli ultras italiani, con l’obiettivo di fondere due universi apparentemente lontani: la fede e la passione sportiva, guidati da valori comuni come lealtà, comunità e coraggio. Per molti tifosi del Cosenza, la sua figura resta leggendaria. Appassionato sostenitore del Cosenza Calcio, era presente sempre sugli spalti del vecchio San Vito, oggi Marulla. Dalle gradinate della Curva Sud trascinò con sé, nelle missioni in Africa, giovani tifosi, trasformando l’amore per la squadra in un ponte di solidarietà.


A Cosenza fondò l’Oasi Francescana, che divenne un faro per chi viveva nell’indigenza. Un’opera che la città ha sempre vissuto come vanto: un segno tangibile di fede vissuta e vicinanza concreta agli ultimi. In mezzo al cuore della città nacque un centro di accoglienza e solidarietà che per anni offrì pasti, vestiti e un letto caldo a chi non aveva nulla, diventando riferimento regionale. Per la sua dedizione ai poveri, il frate fu soprannominato “il San Francesco di Calabria”.
La sua vita ha intrecciato carità evangelica, passione calcistica, fede profonda e un lungo calvario giudiziario che ne ha segnato l’esistenza.
La sua figura, tra tonaca e sciarpa rossoblù, continuerà a vivere nell’immaginario collettivo come simbolo di una Cosenza che non dimentica i suoi uomini di cuore.