Dentro questo dolore straziante, i genitori di Filippo hanno avuto la forza di compiere un gesto che commuove e che eleva, con la donazione degli organi del loro figlio
di Antonello Talerico
Non ce l’ ha fatta Filippo Verterame, il ventiduenne ferito con una coltellata alla gola nel corso di una rissa scoppiata martedì scorso tra due gruppi familiari in località “Le Cannella” di Isola Capo Rizzuto. Il giovane è morto nell’ospedale di Catanzaro, dove si trovava ricoverato. I familiari di Verterame, dopo che i sanitari ne avevano dichiarato la morte cerebrale, hanno deciso di donare gli organi del giovane. La rissa in cui era stato ferito Filippo Verterame era scoppiata a causa di un diverbio nel piazzale del lido gestito dal giovane. Una rissa che ha coinvolto i componenti di due famiglie e provocato sette feriti, quattro dei quali sono ancora ricoverati ancora in ospedale.
La tragedia che si è consumata ad Isola di Capo Rizzuto, con la morte prematura e violenta di Filippo Verterame, è un grido che lacera l’anima, una ferita che non si rimargina. È dolore, sgomento, rabbia. È l’ennesima tragedia che ci ricorda brutalmente quanto fragile e insicura sia la vita dei nostri giovani in questa terra. E io lo dico con forza: non è accettabile. Non lo è, non lo sarà mai.
Un ragazzo non può finire i suoi giorni tra la violenza e l’ingiustizia. Non può essere questo il destino di una generazione che dovrebbe avere davanti soltanto sogni, progetti, futuro. Morire così significa essere vittime non solo di un gesto efferato, ma anche di un sistema che continua a girarsi dall’altra parte, che si commuove per un istante e poi dimentica. E questo è intollerabile.
Eppure, dentro questo dolore straziante, i genitori di Filippo hanno avuto la forza di compiere un gesto che commuove e che eleva. Con la donazione degli organi del loro figlio, hanno trasformato la disperazione in speranza, la morte in vita. Grazie a loro, Filippo continuerà a vivere in altri corpi, in altri respiri, in altre storie che da oggi porteranno in sé un po’ di lui. È un atto di amore che dovrebbe inchinare tutti, un segno che la grandezza umana può resistere anche di fronte alla più atroce delle perdite.
Ma questo non può e non deve assolverci. Non bastano le frasi di circostanza, non basta inchinarsi davanti a una bara. Bisogna avere il coraggio di dire che qui stiamo fallendo: come politica, come istituzioni, come comunità. Stiamo fallendo se lasciamo che la brutalità soffochi la vita, che la violenza diventi normalità, che i nostri giovani crescano senza speranza.
Non è tempo di silenzi, non è tempo di ipocrisie. È tempo di reagire, di ribellarsi, di pretendere un cambio radicale. Prevenzione, educazione, cultura: sono queste le armi vere per spezzare questa spirale di sangue e di morte. Non servono promesse, servono fatti. Non servono commemorazioni, serve una rivoluzione morale e civile.
Alla famiglia Verterame va oggi l’abbraccio più sincero e commosso. Ma se domani ci limiteremo a dimenticare, allora saremo colpevoli due volte: della morte di Filippo e della nostra vigliaccheria.
La memoria di Filippo deve diventare rabbia viva, spinta al cambiamento, rifiuto radicale della rassegnazione. Perché no, non è accettabile morire così. No, non lo è. Non lo sarà mai.