Il sindaco Enzo Romeo ha disposto la chiusura della Villa comunale, con i sigilli apposti dalla Polizia locale e il divieto di accesso ai cittadini
di Marcello Bardi
C’è un filo rosso che unisce gli ultimi mesi di Vibo Valentia: la chiusura. Una città che, di fronte ai problemi, invece di reagire preferisce abbassare le serrande dei suoi spazi pubblici, serrarne i cancelli, alzare le mani in segno di resa. Vibo Valentia è diventata la città delle serrature e dei lucchetti. Una città che non affronta i problemi, li nasconde. Non governa, si sottrae. Non risolve, chiude.
Dopo la tragedia del piccolo Francesco – una ferita che in città resterà aperta a lungo, che nessuno potrà mai dimenticare – ci si aspettava una reazione, un segnale di responsabilità, un’amministrazione capace di garantire sicurezza e dignità agli spazi pubblici. E invece?
Il Parco Urbano chiuso. L’area giochi del Parco delle Rimembranze chiusa. Da anni il sottopasso del Vibo Center rimane inaccessibile, ufficialmente perché a rischio allagamento, ma in realtà simbolo di un’incompiuta mai affrontata con decisione. Resta chiuso il “nuovo” teatro. È chiuso Palazzo Santa Chiara con l’immenso e straordinario patrimonio librario del Sistema Bibliotecario che fu. Chiuso Palazzo delle Accademie e – come se non bastasse – anche la Provincia ci mette del suo tenendo chiuso Palazzo De Riso-Gagliardi (non avendo mai aperto Palazzo Romei). E ancora: corso Vittorio Emanuele, un tempo vetrina del commercio cittadino, oggi è una sequenza triste di chiusure, di serrande abbassate, desolante catalogo di un fallimento: vetrine vuote, abbandono.
Sulle vie e le piazze chiuse per lavori che sembrano infiniti, meglio non aggiungere altro. Infine, ultima in ordine di tempo la Villa comunale – quella che un tempo era Villa Regina Margherita e poi è stata ribattezzata Villa Cremona – cuore verde e storico della città, anch’essa interdetta per un albero pericolante.
Si chiude, sempre. Si chiude per paura, per non assumersi la responsabilità di intervenire, per non rischiare, una resa preventiva, una scorciatoia di chi non vuole prendersi incombenze. Perché mettere in sicurezza richiede tempo, progetti, soldi, competenza. Chiudere invece è facile: basta un’ordinanza, basta inviare la Polizia locale a mettere i lucchetti… e via. Il problema è tolto di mezzo. O meglio: tolto di mezzo ai cittadini.
Ma così facendo si condanna la città a un declino lento e inesorabile. Perché chiudere non è governare. Chiudere non è proteggere. Chiudere è rinunciare.
Vibo Valentia non ha bisogno di cancelli sbarrati e cartelli di divieto, ma di manutenzione, di visione, di coraggio. Ha bisogno di un’amministrazione che sappia prendersi cura degli spazi pubblici invece di sigillarli, che sappia assumersi la responsabilità delle scelte invece di nascondersi dietro il “meglio prevenire”.
Perché una città che chiude i suoi parchi, i suoi spazi di socialità e i suoi luoghi simbolo, alla fine rischia di chiudere anche se stessa. Vibo Valentia non è “prudente”: è paralizzata. E una comunità che si abitua alle catene e ai cancelli è una comunità che muore.
Il risultato è una città svuotata, spenta, privata dei suoi spazi vitali. Una città che non offre più nulla se non il volto triste del declino. Chiudere un parco, una villa, un sottopasso, un’istituzione culturale non significa proteggere: significa abbandonare. Significa dire ai cittadini che non si sa cosa fare, non si sa come affrontare il proprio dovere. Significa condannare una città a marcire lentamente, un provvedimento alla volta.
Vibo Valentia non merita di essere la città che chiude. Merita un’amministrazione che apra, che curi, che metta in sicurezza, che guardi avanti. Ma finché la politica sceglierà la via più comoda – quella del cartello “chiuso per pericolo” – l’unico vero pericolo sarà proprio questo: che Vibo Valentia si spenga del tutto rischiando di chiudere anche il proprio futuro.