La riconferma storica del governatore segna un punto di svolta nella politica regionale: Forza Italia doppia gli alleati, nel centrosinistra il “campo largo” resta un miraggio. Alecci nuovo volto da tenere d’occhio
di Maurizio Bonanno
Ad urne ancora calde, il primo selfie che è stato scattato restituisce un’immagine comunque chiara – per certi versi cristallizzata – della Calabria politica: una regione saldamente nelle mani del centrodestra, ma con un equilibrio interno alla coalizione che racconta una realtà molto diversa da quella nazionale.
Il dato più rilevante è la conferma storica di Roberto Occhiuto alla guida della Regione, che inaugura un secondo mandato – mai accaduto prima in Calabria – segnando un passaggio simbolico e sostanziale nella stabilizzazione del potere regionale.
Il presidente uscente non solo conferma il proprio ruolo, ma rafforza il proprio peso politico: Forza Italia si attesta come primo partito regionale, seguita a ruota dalla lista personale “Occhiuto Presidente”, che contribuisce a consolidare una leadership che appare oggi priva di rivali. Sommando le due liste, si ottiene un risultato che doppia quello degli altri alleati del centrodestra.
Il successo personale del presidente si riflette anche nella performance elettorale del suo delfino, Gianluca Gallo, che conquista il record assoluto di preferenze, diventando il più votato e, nei fatti, il secondo uomo forte del governo regionale. In numeri: 11 consiglieri su 20 della maggioranza sono espressione diretta di Forza Italia e delle sue liste collegate. Un dominio assoluto.
Lo scarto rispetto alla fotografia nazionale è evidente nel caso di Fratelli d’Italia, che pur essendo la forza trainante del centrodestra nel Paese, in Calabria non riesce a imporsi. L’elezione di nuovi volti – come Montuoro, Bruno e De Francesco – segnala un tentativo di rinnovamento, ma anche una possibile rottura con l’apparato consolidato del passato.
Simbolica, in questo senso, la bocciatura di Wanda Ferro, attuale sottosegretario e figura storica della destra calabrese, sopravanzata da una nuova generazione politica che sembra voler voltare pagina. Resta da capire se questo rinnovamento sarà organico e strategico o il frutto di scelte estemporanee e conflittuali.
Ancora più incerta è la situazione della Lega, che continua a faticare nel radicamento territoriale. Il partito appare ancora più come una sommatoria di individualità che come una struttura coesa. L’ex presidente del Consiglio regionale, Filippo Mancuso, corre sostanzialmente da solo, confermando una linea autonoma che testimonia il deficit di identità e progettualità collettiva.
Eppure, alcuni nuovi ingressi aprono a una possibile rifondazione, a patto che il gruppo dirigente – vecchio e nuovo – scelga una strada chiara. La Lega, in Calabria, può ancora diventare un partito vero: ma deve volerlo. E soprattutto deve essere disposta a cambiare pelle.
All’interno dell’area centrista della coalizione si registra una sorpresa significativa: la performance di Vito Pitaro, che praticamente da solo trascina Noi Moderati dentro il Consiglio Regionale. Un exploit personale che assegna a Pitaro un ruolo di guida naturale di quell’area moderata che, a livello nazionale, rappresenta la “quarta gamba” della coalizione.
In un contesto in cui i partiti centristi spesso faticano a trovare identità e consenso, l’affermazione di Pitaro rappresenta una novità politica rilevante, che potrà avere effetti anche sugli equilibri futuri della maggioranza.
Nel campo opposto, il centrosinistra registra una pesante battuta d’arresto, sebbene il Partito Democratico riesca, in parte, a salvare la faccia. Tuttavia, il voto mette in evidenza una leadership interna emergente: quella di Ernesto Alecci, ex sindaco di Soverato.
Alecci, da tempo in corsa per un ruolo guida nel partito, esce dalle urne come il nome più forte tra i dem calabresi, grazie a una performance elettorale che gli consente di rivendicare, con maggiore forza, un ruolo di primo piano nella riorganizzazione del partito regionale.
Il resto della coalizione, però, si muove su un terreno estremamente fragile: il cosiddetto “campo largo” si rivela in realtà ristretto, per usare un’espressione amara ma realistica. L’alleanza tra PD, M5S e altre forze progressiste in Calabria non è riuscita a trasformarsi in una proposta politica credibile, né sul piano programmatico né su quello elettorale.
In sintesi, il voto consegna alla Calabria una geografia politica che parla il linguaggio dell’egemonia di Forza Italia, una vera e propria “monarchia moderata” regionale con Occhiuto al vertice. Il centrodestra vince, ma lo fa in modo sbilanciato, con partner deboli o in ristrutturazione.
Il centrosinistra, al contrario, esce frantumato, incapace di trovare una narrazione comune o un leader condiviso, con l’eccezione di Alecci, che potrebbe però rappresentare un punto di ripartenza.
Mentre Roma guarda alle dinamiche nazionali, la Calabria si conferma eccezione e laboratorio, con assetti che non rispecchiano quelli italiani e che meritano attenzione, sia per le forze di governo che per quelle di opposizione.