<p><strong><em>Commento semiserio tra partiti sdoppiati, alleati dimenticati e vincitori che non contano e si trastullano al gioco dell’oca elettorale: tutti tornano al via (tranne Pitaro)</em></strong></p>



<p>di Marcello Bardi</p>



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<p>In un&#8217;epoca in cui i partiti cercano unità, compattezza e visione comune, Vibo Valentia decide coraggiosamente di fare il contrario. Non uno, ma due Partiti Democratici. Non una, ma due Forza Italia. Non un pentastellato, ma due, e nessuno eletto. È la nuova frontiera della rappresentanza politica: moltiplicarsi per dividersi meglio.</p>



<p>Partiamo dal Partito Democratico, o meglio, dai Partiti Democratici. Da un lato c’è il PD ufficiale, quello che tiene la barra del timone (non sempre stabile, in verità) del sindaco Enzo Romeo, che ha pensato bene di candidare tre nomi forti (l’assessore Soriano, l’uscente Mammoliti, l’ex Tassone). Peccato che siano andati tutti a casa prima ancora di disfare le valigie della campagna elettorale. Un “triplete” al contrario, degno del Guinness dei primati della &#8220;sfortuna&#8221; politica.</p>



<p>Dall’altro lato ci sono i “dem” alecciani, figli ribelli ma con la tessera in regola, che il sindaco Romeo finora ha tenuto a distanza come si fa con i parenti imbarazzanti ai matrimoni. Eppure loro, zitti zitti, sostengono il solo vincente del gruppo: Ernesto Alecci. Ma vincere, si sa, non è tutto. Se sei nel centrosinistra vibonese, puoi anche essere eletto, ma se non sei nella combriccola giusta, resti fuori dalla porta. Alecci c’è, ma gli alecciani vibonesi ancora non risultano pervenuti, né considerati. Almeno per ora.</p>



<p>Nel M5S, invece, si gareggia al gioco dell’inversione: l’assessore comunale Marco Miceli, candidato ufficiale, prende meno voti del candidato <em>non</em> ufficiale Del Giudice (nella lista Tridico Presidente). Una performance che farebbe riflettere in qualsiasi altra città, ma a Vibo Valentia è solo mercoledì. Nessuno dei due viene eletto, ma almeno possono consolarsi a vicenda. Sempre che riescano a riconoscersi, tra le varie anime del Movimento.</p>



<p>Antonio Lo Schiavo di AVS, infine, chiude il quadro del centrosinistra con stile: ha il vice sindaco, ha il partito, ha la visibilità. Quello che gli manca, purtroppo, è l’elezione. E anche la leadership, visto che alla fine non è nemmeno il più votato della sua lista. Ma anche questo a Vibo Valentia sembra fare curriculum.</p>



<p>Passiamo al centrodestra, dove la confusione non è un errore: è una scelta strategica. Dopo aver consegnato il Comune al centrosinistra con una divisione da manuale, continua a giocare al gioco delle tre carte. C’è Forza Italia “storica” che si presenta con la lista Occhiuto Presidente e quindi senza il suo simbolo (perché in fondo i simboli sono solo orpelli borghesi), e fallisce l’elezione del suo candidato Michele Comito per un soffio. Primo dei non eletti: il podio dell’amarezza.</p>



<p>C’è poi la Forza Italia “ufficiale”, quella vera, che punta su un nome forte, anche se non vibonese, ma riceve un risultato debole. Una specie di forza passiva. Intanto, mentre tutti guardano altrove, l’ex sindaco Maria Limardo, a suo tempo confinata malamente alla porta, rientra con la Lega e porta a casa poco più di duemila voti. Non le bastano per vincere, ma sono sufficienti per dire: “Vedete quanto valgo io, da sola?”. Più che un risultato, una vendetta in scala elettorale.</p>



<p>E Fratelli d’Italia? Presenta Antonio Schiavello, che conquista 1.300 voti, la metà dei quali in città. Una prestazione che lascia il partito con la bandiera mezza ammainata e Wanda Ferro con più delusione che altro, anche lei fuori dai giochi, ma con un barlume di speranza che a Vibo Valentia si possa costruire finalmente un partito.</p>



<p>Ma il colpo di scena arriva con Vito Pitaro. Il vero paradosso vivente. Era stato essenziale a suo tempo per eleggere Maria Limardo, poi l’aveva abbandonata, contribuendo alla caduta del centrodestra avendo optato per una coalizione solo centrista. Ora rientra con Noi Moderati e – tenetevi forte – è l’unico eletto del Vibonese. Un exploit personale che suona come: “Alla fine, avete bisogno di me”. Altro che moderato, questo è un rientro alla Bruce Willis in <em>Die Hard</em>.</p>



<p>A questo punto, qualcuno penserà di trarre delle conclusioni da questi risultati? Qualcuno si porrà la domanda: “È arrivato il momento di rinnovare la classe dirigente della politica vibonese?”. </p>



<p>La risposta sembrerebbe scontata. Ma attenzione: a Vibo Valentia la logica è solo un optional. Qui si può perdere e governare, vincere e restare fuori, essere il PD senza essere <em>il</em> PD, e dividersi per moltiplicare i fallimenti.</p>



<p>Forse, più che rinnovare la classe dirigente, servirebbe capire da quale dimensione politica siano arrivati. Perché quella in cui si trovano ora, sembra più una puntata di <em>Black Mirror</em> che un’assemblea elettorale.</p>



<p>Ma, in fondo, è anche questo il bello di Vibo Valentia: una città dove tutto è possibile. Tranne, forse, capire chi guida la politica per davvero!</p>

Manuale di autodistruzione elettorale: edizione speciale Vibo Valentia, dove la politica è un paradosso ben riuscito
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da Maurizio

- Categories: politica, opinioni
- Tags: aleccianiautodistruzioneavsdemforza italiaFratelli d'Italiagioco dell'ocalegaM5Smanualenoi moderatipd
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