…che ha diviso la politica mondiale tra chi è suo amico e chi non lo è, coloro che si vantano di aver vinto con lui. E sono tanti oggi i paesi e i loro leader che reclamano questa vittoria
di Franco Cimino
Ho sempre sostenuto che la guerra non si vince con la guerra. E la pace non nasce mai dalla forza delle armi. La pace, quella vera, si afferma con la pace.
Ieri l’altro abbiamo assistito, nel mondo intero, all’autoincoronazione di un imperatore del pianeta. È stata una grande festa durata un’intera giornata e suddivisa tra Tel Aviv e Sharm el Sheikh. La festa dell’uomo solo al comando, che ha diviso la politica mondiale tra chi è suo amico e chi non lo è, offrendo doni e carezze agli amici, promettendo premi a quanti volessero diventarlo, e inviando minacce agli attuali nemici.
Nel discorso che il presidente degli Stati Uniti ha fatto al mondo, con la corona in testa, egli stesso ha dichiarato che vi è un solo vincitore sullo scenario medio-orientale, come in altri ancora aperti: la potenza bellica e le possenti armi che l’hanno determinata. Vince questa cultura, vince la guerra sulla guerra. E vince perché non ha alcuna intenzione, la guerra, di cessare di esserlo. E vince questa America del culto della potenza perché possiede non soltanto lo spirito bellico, ma la potenza militare che lo rafforza. Ha vinto, pertanto, questo principio di potenza. È il presidente americano che lo sostiene, implicitamente affermando che lui è l’unico detentore di questa forza. Che non esiterà a far valere ancora se gli venisse richiesto dagli amici o sentisse minacciata l’America. La festa è stata, pertanto, tutta per lui. Gli invitati sono stati tutti lì ad applaudirlo.
Ma oggi c’è un’altra festa. Quella di coloro che si vantano di aver vinto con lui. E sono tanti oggi i paesi e i loro leader che reclamano questa vittoria.
E allora domando loro: “se vi sentite autori della pace, di questa pace fatta di guerra, perché non l’avete fatta prima? Se vi sentite eroi, perché con l’accordo dell’altro giorno, che sospenderebbe le stragi di innocenti, avreste evitato nuove stragi di bambini e nuove o uccisioni di madri di vecchi e di uomini innocenti, di contro non dovreste sentirvi responsabili delle morti e delle uccisioni, dei bambini massacrati e delle donne e dei vecchi uccisi per la guerra che è stata mossa contro di loro? Non vi sentite responsabili, dei giorni perduti intorno alle trattative su qualcosa che, secondo i fatti e le stesse dichiarazioni del presidente americano, necessitava soltanto della forza americana per chiudere la guerra in poco tempo?”
Non sono io a dire questo, ma lo stesso capo dell’amministrazione americana: “Gli ho detto: ‘Bibi, adesso basta, abbiamo vinto. Godiamoci la vita’”. Sono parole sue. E, poi, rivolto al presidente della Repubblica d’Israele, ha aggiunto con maggiore enfasi: “Io ho un’idea, signor presidente, perché non lo perdona? Perché non gli dà la grazia? Bibi è stato uno dei più grandi presidenti di guerra nella storia di Israele, lo perdoni”. E, ancora, sicuro di aver ottenuto quanto richiesto, ritorna a parlare al suo amico seduto tra i banchi di fronte: “Possiamo finalmente stappare lo champagne”.
Ma di questo passaggio e di queste parole parleremo un altro momento, quando chi non le ha capite o ha fatto finta di non capirle avrà finito di bere lo champagne in casa propria e di festeggiare “la pace da loro conquistata”, e potrà crescere in sensibilità e responsabilità. Rispetto anche alle parole che hanno sempre un significato, anche quando sembra che siano gettate lì per divertirsi un po’, quasi si fosse alla festa goliardica degli universitari di una volta.