Essere solidali significa impegnarsi a tutelare e proteggere non soltanto la persona fisica del minacciato, ma il lavoro, la funzione, il ruolo, che qualsiasi giornalista ricopre nel nostro paese
di Franco Cimino
L’attentato a Sigfrido Ranucci va molto al di là dell’orrore che rappresenta. Quell’ordigno che si vuole far passare come rudimentale per coprirne la vera matrice, oltre la mano che l’ha portato in quel posto, voleva uccidere. Comunque, chi ha compiuto l’attentato può uccidere quando vuole, sfidando il sistema di protezione che lo Stato ha messo su Ranucci. La sfida è aperta e forte quanto la minaccia portata. Il messaggio è chiaro: “Ti colpiremo ovunque. E ti colpiremo più forte. Tanto che ne morirai senza fuoco per l’immane dolore arrecatoti”.
Questa è la minaccia rivolta al loro nemico capitale. Nemico insopportabile, da eliminare, per quel che la sua azione di libero giornalista può scatenare: il contagio buono verso quel buon giornalismo che sta ancora timido e in soggezione rispetto ai poteri e alla debolezza che gli stessi poteri hanno procurato alla libera informazione. E non da ieri, ma da almeno un ventennio.

Gli uomini coraggiosi, gli uomini liberi, i difensori della libertà e delle libertà di ciascuno, i tutori delle istituzioni libere e democratiche, questi uomini che si battono per la giustizia, per la pace, per la democrazia, e lottano a mani nude, quelli che, essendo nel mondo sempre più pochi, siamo costretti a chiamarli eroi, sanno bene che per fare le lotte che fanno, per condurre la vita quotidiana nel solco del dovere intrinseco al loro lavoro, rischiano la vita tutti i giorni. L’hanno messa in conto e, per quanto la amino, la donano per la salvezza della vita altrui. Quella dei eboli e degli innocenti, quella della libertà delle persone, dei popoli, delle società umane. Non quelle fittizie e ingannevoli società per azioni, le tante nate per rubare, che proprio Sigfrido e le sue inchieste a Report hanno scoperto e denunciato alla pubblica opinione.
Ma c’è una sola minaccia che questi eroi non sopportano, un solo dolore che al semplice immaginarlo gli rompe il petto e lo fa deflagrare peggio che su quelle due macchine che stanotte sono state fatte esplodere. È la minaccia contro la vita dei figli. Per questo l’attentato di questa notte è ancora più orribile. Di mira, fisicamente intesa, non c’era lui come persona fisica, ma la figlia. L’ordigno “rudimentale” pare sia stato collocato fra le due auto. I vigliacchi sapevano che Ranucci era già in casa, probabilmente. I figli ancora non lo erano. Questo sembrerebbe dalle prime informazioni. Orribile e anche l’altro scopo, per nulla inferiore a quello dell’oltraggio della vita umana. E la minaccia che attraverso Sigfrido, viene rivolta a tutto il giornalismo italiano. E direi, come principio, a tutto il sistema della libera informazione, strumento vitale per la democrazia.
È un attacco che muove da lontano, dall’est dell’Europa muscolarmente più forte. E da oltre oceano, dove una certa idea imperialista vorrebbe farsi guida di gran parte del mondo, lasciando quella che resta nella caricatura di un altro imperialismo o preteso tale. Il progetto che sta prendendo corpo è quello di sostituire le democrazie nei singoli paesi, utilizzando la democrazia. Gli studiosi la chiamano autocrazia, la nuova forma di governo già in vigore nei paesi storicamente democratici. Io la spiegherei in maniera più chiara e anche più vicina a ciò che sostanzialmente è: un nuovo autoritarismo che abbia tutte le specifiche connotazioni dei fascismi, senza che appaia mai la parola fascismo.
Le tendenze autoritarie, prima ancora che si trasformino in sistemi politici, come prima passo muovono dal vittimismo dei leader, lesi secondo loro dall’ingiusta persecuzione della stampa, per poi prendere forme più chiare, anche giuridicamente sostenute. Un cambio delle Costituzioni, che inizia con le manifestazioni della forza “dell’uomo forte”, solo al comando. Il quale si esibisce, come storia racconta, sul palcoscenico nazionale ed internazionale, recitando, anche con la mimica facciale e la postura del corpo, la parte del padre buono, amorevole e generoso con i figli remissivi ed “educati”. E severo, anche minacciosamente, nei confronti dei figli indisciplinati. I giornalisti liberi sono quelli più attenzionati e, pertanto, i più minacciati.
L’attentato di ieri significa, in piccolo rispetto al quadro generale di cui parlo, esattamente questo. Esprimere la solidarietà, quale quella che unanime si è manifestata oggi verso il giornalista di Report ( il programma di Rai 3 dal quale lo si voleva cacciare) significa andare oltre l’ipocrisia di gran parte delle forze politiche e delle personalità che l’hanno manifestata. Significa, deve significare, più precisamente il netto rifiuto di tutti gli obiettivi che questo attentato ha voluto colpire. Tutti, nessuno escluso. Dire soltanto la solidarietà al giornalista per ciò che ha subito stanotte, è cosa talmente ovvia da sembrare in alcuni casi non credibile. Essere solidali davvero con lui significa impegnarsi a tutelare e proteggere non soltanto la persona fisica del minacciato, ma il lavoro, la funzione, il ruolo, che qualsiasi giornalista ricopre nel nostro paese. Significa difendere pienamente la Costituzione, in ogni sua parte. Oggi, particolarmente, in quella che si obbliga a garantire la libertà di stampa, quale condizione fondamentale per la libertà di tutti.
Significa abbandonare da subito i toni davvero violenti utilizzati nei confronti dei giornalisti che non ci piacciono. In particolare quelli che indagano sulle storture del potere e sui meccanismi che forze infedeli alla democrazia e alla legalità, utilizzano per rafforzare posizioni di potere. O per realizzare ricchezze ingiuste, in danno tutte del popolo italiano. Significa, pertanto, abbandonare da subito quella violenza verbale quando ci si rivolge, pur legittimamente contestando – come libertà di espressione detta – il prodotto del lavoro giornalistico.
E, visto che ci si trova, abbassare tutti i toni della polemica politica per riportare le assemblee elettive, soprattutto il Parlamento, alla condizione di reale agibilità democratica. Abbandonare subito le parole sbagliate quando ci si rivolge all’avversario politico e quei toni di sfida che sembrano annunciare guerre assolutamente insopportabili per un paese, il nostro, che sta subendo un pericoloso sfilacciamento del tessuto democratico.
Perché è proprio dal clima di violenza verbale, e non poche volte dalle risse da stadio, che nasce o cresce la violenza all’interno della società. É da quella violenza nella politica, che taluni, operanti nei nascondigli bui della democrazia, si muovono per colpire chi democrazia difende attraverso strategie ben studiate e messe in opera con tecniche apparentemente improvvisate ed esplosioni di fuoco da “ordigni rudimentali”.