La manutenzione non è un atto tecnico: è un gesto politico. Significa prendersi cura di ciò che appartiene a tutti
di Marcello Bardi
La mancata gestione trasforma un bene comune in un rischio collettivo. È un concetto semplice, quasi banale, ma che a Vibo Valentia sembra non trovare applicazione concreta. La città vive una condizione di stallo nella cura delle sue opere pubbliche, dei suoi spazi verdi, dei luoghi che dovrebbero rappresentare non solo il decoro urbano, ma anche la qualità della vita dei cittadini. E ciò che era stato annunciato come simbolo di rinascita si trasforma lentamente in un monumento all’incuria: l’erba cresce, la vernice scolorisce, le strutture si rovinano. È il paradosso vibonese della gestione pubblica: si spende per rifare, ma non per mantenere.
È accaduto — e accade ancora — con i parchi e i giardini pubblici. Alcuni di essi sono stati oggetto, negli ultimi anni, di interventi di restyling anche costosi, ma basta fare un giro oggi per capire come quelle opere siano state lasciate a se stesse. Una scena che si ripete in più punti della città e che racconta un fallimento non tanto economico, quanto culturale: si spende per rifare, ma non per mantenere.
Ogni spazio pubblico lasciato senza cura non è solo un problema estetico. È un rischio collettivo. Strutture non manutenute diventano pericolose e il degrado alimenta la sensazione di abbandono.
E c’è anche un danno economico: soldi pubblici spesi per progetti che non reggono nel tempo, risorse sottratte ad altre priorità. In pratica, un ciclo infinito di sprechi a causa della mancanza di una programmazione nella manutenzione delle opere pubbliche che è diventata una regola non scritta.
Non esistono piani di gestione, non c’è una regia che si occupi della manutenzione ordinaria. E così, nel giro di pochi mesi, ciò che era stato restaurato con orgoglio si degrada, generando rabbia e sfiducia tra i cittadini.
Perché è un degrado che non nasce dall’inciviltà dei cittadini, ma da una responsabilità più profonda: l’assenza totale di una strategia di manutenzione. Si apre, si inaugura, e poi si lascia tutto al caso. Il risultato?
Quando un parco, una piazza o una strada non vengono curati, non diventano solo brutti da vedere: tornano inutilizzabili, diventano insicuri. E questo vale per i giochi per ii bambini come per i marciapiedi dissestati, per i giardini come per le scuole.
E, se la mancata gestione trasforma un bene comune in un rischio collettivo, in una città che già fa fatica a offrire spazi di socialità e di vivibilità, questo rischio pesa doppio.



Spesso si giustifica il tutto con la mancanza di soldi. Ma la verità è che manca un metodo. Manca una pianificazione, un calendario di manutenzione, una visione di lungo periodo.
In altre città, anche con risorse limitate, esistono piani di gestione dei beni pubblici: chi fa cosa, quando e con quali strumenti. A Vibo Valentia, invece, tutto sembra affidato all’improvvisazione. Si interviene solo quando il danno è ormai visibile e il degrado irreversibile.
La manutenzione non è un atto tecnico: è un gesto politico. Significa prendersi cura di ciò che appartiene a tutti. È facile inaugurare un’opera; molto più difficile è garantirle vita nel tempo.
Ma è da qui che passa la credibilità di un’amministrazione. Non dai comunicati stampa o dai rendering, ma dallo stato reale dei luoghi in cui vivono i cittadini.
La manutenzione non dà visibilità, non porta voti, non finisce nelle foto ufficiali. Eppure è l’unico modo per far vivere nel tempo ciò che si realizza.
Servirebbe un piano serio di gestione dei beni comuni, un monitoraggio costante, una cabina di regia che non lasci le opere pubbliche in balia del caso. Servirebbe soprattutto una visione politica diversa: quella che mette la “cura” davanti alla “vetrina”.
Vibo Valentia ha bisogno innanzitutto di manutenzione, di attenzione, di rispetto per ciò che già c’è, di coltivare la normalità della cura.
Perché la vera misura di una città non sta in quanti cantieri si aprono, ma in quanti spazi restano vivi, sicuri e accessibili nel tempo. E oggi, purtroppo, la città sembra aver smarrito questa misura.
Oggi, purtroppo, troppi luoghi della nostra città raccontano una verità amara: il bene comune, se dimenticato, diventa un monumento allo spreco.









