Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 9 novembre
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime, carissimi ,
questa domenica celebriamo la dedicazione della Basilica Lateranense, consacrata da papa Silvestro il 9 novembre del 324 dopo Cristo col nome di Basilica del Santo Salvatore, divenuta poi, nel XII secolo, Basilica dedicata a San Giovanni Battista.
Fu la prima Chiesa ad essere pubblicamente consacrata, dopo l’editto di Costantino del 313 dopo Cristo. Oltre mille anni, i Papi ebbero la loro residenza nelle vicinanze di questa Basilica. Fra le mura di questa Basilica, inoltre, si tennero 250 concili, di cui 5 ecumenici.
Nel celebrare la Basilica Cattedrale di Roma, per ognuno di noi è doveroso esprimere la propria comunione con la sede di Pietro e ricordare la dedicazione della propria Chiesa, piccola o grande che sia.
Ascoltiamo il vangelo che la liturgia, oggi, ci propone: “Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: “Portate via di qui queste cose e non fate dalla casa del Padre mio un mercato!”. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”. Rispose loro Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. (Giovanni 2, 13 – 22.).
Gesù sale al tempio per celebrare la Pasqua ,la prima Pasqua del suo ministero pubblico. Sale per lodare Dio e fare memoria della liberazione del popolo dalla schiavitù d’Egitto e s’imbatte, nel Cortile dei Gentili, in una fiera mercato. Ed è qui che il pellegrino devoto diviene pellegrino indignato, avvalorato dal Salmo 2, 17 “Lo zelo per la tua casa mi divorerà”. Ed ecco Gesù all’opera: i tavoli dei cambiamonete vengono rovesciati, colombe e tortore liberate, buoi e pecore, spinti fuori del recinto sacro. Grande stupore del popolo, violenta condanna da parte dei Sommi Sacerdoti: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?” Gesù risponde: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”.
In questa risposta di Gesù c’è già l’annunzio dell’evento straordinario della Pasqua di morte e risurrezione. Distruggete pure questo mio corpo, uccidetemi, Io, dopo tre giorni, risorgerò. Il gesto di Gesù è un richiamo forte a non mercanteggiare con le cose sacre. Un invito a non servirsi della religione, ma servire la religione col prendersi cura dei bisogni delle persone.

Il gesto di Gesù, ancora, è un chiudere con una religione inquinata da interessi di casta ed aprirsi con coraggio ad una religione che annunzia un mondo nuovo, fatto di partecipazione, di fraternità, di accoglienza e di pane da spezzare con i fratelli. Il gesto di Gesù può sembrare violenza, invece no! È passione per una vita nuova, è aria pulita, è liberare Dio dalle gabbie degli interessi economici.
In un mondo dove si vende tutto: amicizie, affetti, corpi, resta un luogo sacro non negoziabile secondo le logiche umane. Liberare il tempio, le chiese, le cattedrali, i santuari è nobile e doloroso, ma ancora più nobile e doveroso è liberare milioni di persone dal bisogno della casa. La casa è, fin dagli albori dell’umanità, una priorità a partire dalle caverne, dalle palafitte, dalle capanne, perché la casa è residenza, è sicurezza, é patrimonio di affetti, di ricordi, di memorie. Oggi, secondo le stime delle Nazioni Unite, cento milioni e più di persone vagano per il mondo in cerca d’un pezzo di pane da condividere, un affetto da partecipare, un luogo dove sentirsi a casa. Oggi milioni e milioni di persone non si sentono a casa perché le guerre (Ucraina, Gazza, Sud Sudan, Somalia e cento altri luoghi di pena) hanno raso al suolo tutto, anche il desiderio di ripartire. Ma ripartire è necessario perché nell’animo umano c’è sempre la nostalgia di una casa, di un nido di amore.
Tutta la letteratura religiosa e civile lo testimonia. I protagonista dell’Odissea, Ulisse, lotta dieci anni per tornare a casa. ..e alla fine ce la fa. Dante, con la magia della sua poesia, in due terzine, immortala il “nostos”,il desiderio di casa: “Era già l’ora che volge il desio/ai naviganti intenerisce il core/lo di’ c’han detto ai dolci amici addio; e che lo nuovo peregrin d’amore/ punge, se ode squilla di lontano/ che paia il giorno piangere che si more”.(Purgatorio 8,1-6). E la letteratura religiosa, oltre lo spazio di una casa, cerca nuove visioni, nuovi orizzonti “dove non c’è più lacrime, né lutti,ma gioia senza fine in un mondo riconciliato” (Apocalisse).
Buona domenica.
Don Giuseppe.











