È il 9 novembre del 1938 quando i nazisti distruggono case, negozi e sinagoghe nei quartieri ebraici. È il 9 novembre del 1989, il giorno della caduta del muro
di Pierluigi Lo Gatto
Ordini gutturali fanno muovere nere divise. Il frastuono di vetrate infrante si mescola alle fameliche fiamme che divorano la vicina sinagoga; le stesse fiamme che presto avvolgeranno milioni di persone. Odore di legno bruciato e fumo denso come l’adorata cioccolata.
Jacob ha tanto freddo mentre aspetta insieme alla sua sorellina. Si guarda intorno: dove sono mamma e papà? Perché il suo sonno innocente è stato interrotto da braccia enormi e inquietanti? Forse ha fatto qualcosa di male, forse è per questo che il negozio dove comprava le sue caramelle preferite è ora ridotto in cenere.
È il 9 novembre del 1938: quella notte i nazisti distruggono case, negozi e sinagoghe nei quartieri ebraici di molte città della Germania e comincia la vergognosa deportazione.
Un salto nel tempo, un volo di speranza, una scintilla di pace dopo mezzo secolo di buio: è il 9 novembre del 1989, il giorno della caduta del muro. A Berlino.
Karl sgretola a mani nude quel maledetto ammasso di cemento, lungo come i 28 anni che l’hanno sostenuto. Il violoncello di Rostropovich accompagna le urla di gioia di chi si avvinghia a mani di fratelli per riunire uno spazio che solo la barbarie umana ha diviso in Ovest ed Est.
Karl non ha mai visto la Sprea così dolce, né quella luna così piena di futuro. E mentre l’acqua si ammanta di luce, si accorge che dove c’è morte c’è anche resurrezione.
Cade in ginocchio, le braccia tese al cielo. Lo stesso cielo che ha sputato il fuoco e le fiamme che hanno raso al suolo la sua amata Berlino, lo stesso cielo che ha udito le melodie di Bach e Beethoven, ascoltato i versi di Goethe e l’illuminato pensiero di Hegel. Lo stesso cielo che accoglie da sempre il giorno e la notte, l’infimo e il sublime.
Già, pensa Karl, il 9. Un numero sacro, perché il risultato del 3 moltiplicato per se stesso, simbolo di Verità.
Già, la Verità: credere di possederla significa spesso imporla con la forza, smettere di ascoltare l’altro e di confrontarsi con l’infinita ricchezza del molteplice. Significa alzare un muro invalicabile e seminare la gramigna dell’intolleranza. Significa ucciderla, con il vile inganno di difenderla.
Chi ama davvero la Verità abbatte i muri, spegne le fiamme dell’odio, abbraccia con umiltà la possibilità di fallire. Chi ama la Verità è sacerdote del dubbio.
Karl e Jacob sono vite che si abbracciano, testimoni dell’abisso e del divino presenti in ogni essere umano.
Ora il crudele muro è solo una pagina del libro di storia, le barriere e i confini solo parole senza senso, l’odio e l’intolleranza solo sfuocate fotografie.
Karl e Jacob brillano per ciò che è più forte delle fiamme e del filo spinato, più potente dell’irrazionale delirio di potere: Karl e Jacob amano.











