Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 14 luglio
di Mons, Giuseppe Fiorillo
Carissime/ carissimi,
la liturgia di questa 15ª domenica del Tempo Ordinario, con questa pagina del Vangelo di Marco, ci presenta Gesù che, dopo la fase di apprendistato, invia i Dodici a fare quello che hanno visto fare da Lui: predicare la conversione, scacciare i demòni, ungere e guarire gli ammalati.
“Gesù chiamo a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: “dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro”. Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano” (Marco 6,7-13).
“Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due”… perché a due a due? il due è il numero della relazione, della reciprocità, della condivisione. Il due, nella nuova visione, non è la somma di uno più uno, ma è l’inizio della nuova pedagogia di “un noi”.
“E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura, ma di calzare sandali e di non portare due tuniche”… perché “l’annunciatore della parola deve essere infinitamente piccolo se vuole un annuncio infinitamente grande” (Giovanni Vannucci, teologo).
Gesù propone l’esperienza della leggerezza del cammino e della sobrietà dei mezzi, puntando tutto sull’essenzialità della parola e sua testimonianza di vita… Per realizzare ciò basta poco: un bastone quale sostegno per sorreggere il viaggio e quale sollievo nella stanchezza. E bastano dei sandali, quale segno dell’uomo “viator” che cammina per cercare l’altro e condividere con l’altro gioie e dolori, attese e speranze.
I primi cristiani, difatti, venivano chiamati “quelli della via”, perché, fedeli al mandato di Cristo, andavano per le strade del mondo ed annunciavano “una terra nuova ed un cielo nuovo, perché le cose di prima non c’erano più” (Apocalisse di Giovanni).
E, nel peregrinare di casa in casa, ungevano con olio gli ammalati e li guarivano ed erano vicini a tutti, realizzando così la globalizzazione dell’amore, all’insegna di quel messaggio di Cristo, raccolto da Paolo nella lettera ai Galati: “Non c’è né giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, perché tutti siamo con uguale dignità dinnanzi a Cristo Gesù”(Galati 3,28). E loro, i primi cristiani, nell’arco di poche decine di anni, hanno raggiunto un buon traguardo in tutta l’aria del Mediterraneo…
E noi a che punto siamo con la nostra evangelizzazione?
Il nostro messaggio, oggi, purtroppo non rompe il muro dell’indifferenza, dell’egoismo, delle sopraffazioni, delle corruzioni, delle guerre, perché la nostra fede forse è stanca, incerta, debole, priva di concretezza e priva di innamoramento.
E allora domandiamoci:
quanti abbiamo la consapevolezza di essere, in forza del dono del Battesimo, degli inviati da Dio nel mondo per essere la sua Bibbia vivente?;
quanti siamo coscienti di essere ciascuno, nel proprio ambito, profeta di Dio nel testimoniare giustizia e verità, soprattutto verso i derelitti della terra?;
quanti, come scrive Paolo, siamo non tanto “lode della gloria di Dio, quanto piuttosto nostra lode e nostro compiacimento?”…
Che la Grazia e la Benevolenza del Signore Gesù Cristo siano con noi e le nostre fragilità e, ricordiamoci che “noi non arriveremo alla meta a uno a uno, ma a due a due e, se ci ameremo a due a due, noi ameremo tutti”(Paul Eluard, poeta).
Buona domenica.
Don Giuseppe Fiorillo .