Riflessioni sulla pagine del Vangelo di domenica 17 agosto
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime, carissimi,
con questa pagina del Vangelo di Luca di questa 20.ma domenica del Tempo Ordinario, siamo in cammino verso Gerusalemme.
In una delle soste, probabilmente all’ombra di qualche albero, alla numerosa folla che lo accompagna Gesù rivolge parole drammatiche e pensose: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre. Si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera». (Luca 12, 49-53).
Gesù si definisce fuoco. Il fuoco è simbolo di luce, di calore, di energia. Nella scrittura, per ben 400 volte ricorre la parola fuoco. Come forza distruttrice ed anche purificatrice (Levitico 13, 52).Come spazio di rivelazione di Dio: “il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava”. (Esodo 3,2-3). Come immagine del giudizio di Dio: “davanti a lui un fuoco divora e dietro a lui brucia una fiamma”. (Gl 2,3). Come figura della parola di Dio:” ecco io farò delle mie parole come un fuoco sulla tua bocca” (Geremia, 5,14). Come sigillo finale nella storia d’amore del Cantico dei Cantici:” forte come la morte è l’amore, le sue vampe son vampe di fuoco… le grandi acque non possono spegnerlo, né i fiumi travolgerlo” (Cantico dei Cantici, 8, 6-7).
Il fuoco che porta Gesù è un fuoco d’amore che inonda la terra e che scompiglia tutte le istituzioni di ieri, come di oggi. È un’esplosione di una passione che cerca giustizia, pace, fraternità, benevolenza, accoglienza. E noi oggi siamo chiamati ad essere i portatori di questo amore se vogliamo che questo mondo non perisca per eccesso di egoismo.

È con questo fuoco che Gesù ha amato gli uomini e le loro storie, i loro fanciulli, le loro case, dove spesso è stato ospite, ha amato le loro strade polverose, sulle quali ha tanto camminato, le vigne, gli uliveti, i campi di grano e, persino, il deserto di Giuda, dove è rimasto quaranta giorni e quaranta notti, tentato dal maligno. E noi di questo amore smisurato di Gesù che ne abbiamo fatto e che ne facciamo?
Abbiamo creato, spesso, un cristianesimo stanco, fatto di chiese invecchiate più che di persone vive, più di parole che di vita, più di abitudini che di fede profonda, più di calcoli economici che di pazzia evangelica, più d’elemosina che di giustizia.
“La nostra religione è fortemente vera, ma il nostro modo di viverla la fa apparire, falsa”. (Bruce Marshall).
«Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione».
La presenza di Cristo nella nostra società provoca una presa di posizione, costringendoci a schierarci o con Lui o con lo spirito di questo mondo. La sua parola è, difatti, parola di giudizio, che discerne e spinge ad una scelta. Nessuna realtà si può sottrarre a questa operazione, nemmeno la famiglia, che è la base primaria della società.
Non è possibile la neutralità: “all’angelo (vescovo) della chiesa di Laudicea scrivi: così parla l’Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio. Conosco le tue opere: tu non sei né freddo, né caldo. Ma poiché sei tiepido, non sei, cioè, né freddo, né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Apocalisse 3,15-16).
È necessario, quindi, schierarsi. “Credere è entrare in conflitto” (Davide Maria Turoldo).Il Vangelo di Gesù non mette in pace la coscienza di nessuno, ma la scuote dal sonno della ragione e la mette in cammino per costruire “un mondo dove non c’è lutto, né lacrima, ma gioia senza fine”(Apocalisse).
Buona domenica.
Don Giuseppe Fiorillo