Dovremmo difendere la satira come bene pubblico: non perché ci fa ridere, ma perché ci tiene svegli
di Marcello Bardi
Si sa, la politica non ama la satira. Perché un avversario lo si può smentire, un giornalista lo si può ignorare, ma una risata… quella resta. La satira, con il suo specchio deformante, da secoli smonta il trucco al potere, mostrandone le rughe e le smorfie che i discorsi ufficiali cercano di nascondere.
E dire che avrebbe tanto da guadagnarci: un po’ di ironia la renderebbe persino simpatica. Invece niente: il potere preferisce restare serio, pomposo, con quell’aria da primo della classe… che però non ha studiato.
Il fatto è che la satira è come il dentista: tutti dicono che serve, nessuno ci vuole andare. I politici proclamano: “La satira è fondamentale, ci fa bene ridere di noi stessi!”. Poi, però, alla prima battuta, alla prima vignetta con il naso lungo come una canna da pesca, vanno in tilt: “Oltraggio! Mancanza di rispetto! Attacco alla democrazia!”.
La verità è che il potere detesta il ridicolo. Un decreto impopolare può essere dimenticato, ma la barzelletta che lo racconta no. E nei regimi autoritari lo sanno bene: per questo la satira è bandita. Perché il riso, a differenza dei carri armati, non si ferma con i posti di blocco. È sovversivo senza sparare colpi: mette in crisi la solennità, dissolve l’aura di intoccabilità. L’opposizione si può combattere, la satira no: perché il sarcasmo non si emenda con un decreto, e l’ironia non si censura con un comunicato stampa.
Eppure, basterebbe poco: se un politico riuscisse a ridere di sé, metà delle battute perderebbero potenza.
La satira, fin dall’antichità, è stata uno degli strumenti più efficaci per mettere in discussione il potere. Aristofane, con le sue commedie, non risparmiava i politici di Atene; i giullari medievali, sotto le apparenze della comicità, suggerivano verità scomode ai sovrani. Oggi, nell’epoca dei social network e dell’informazione istantanea, la satira continua a svolgere questa funzione: pungolare, smascherare, ridicolizzare l’autorità. E fa paura: la storia lo dimostra: nei regimi totalitari la satira è bandita. Non perché sia inutile, ma perché funziona troppo bene. Il tiranno teme più una caricatura che una piazza vuota. Ecco perché dovremmo difendere la satira come bene pubblico: non perché ci fa ridere, ma perché ci tiene svegli. Se il potere non sopporta l’ironia, i cittadini dovrebbero invece custodirla come un diritto inalienabile. Del resto, in tempi in cui la politica sembra sempre più un teatro, ridere non è solo permesso: è un dovere civico.
Nelle democrazie sopravvive, anche se ogni tanto viene scambiata per fake news da chi non ha senso dell’umorismo.
In fondo, la satira non fa altro che ricordarci che i politici sono come noi. Con una piccola differenza: quando noi inciampiamo, ci vede il gatto. Quando inciampano loro, si vede in diretta streaming.
Ed allora, non fidatevi di chi non ride. Perché chi non ride mai, di solito, ha qualcosa da nascondere!