La convinzione di poterci auto-rigenerare ci conduce a tentare invano di riempire il vuoto delle assenze
di Pierluigi Lo Gatto
Sono trascorsi solo tr anni, ma già dopo pochi mesi la mia televisione appariva obsoleta.
Nuovi superled, schermi curvi e megapixel si affacciavano all’orizzonte subito dopo l’acquisto.
E, soprattutto, si avvicina ora la scadenza che ogni apparecchio elettronico ha impressa nei propri circuiti, proprio come la Natura (o chi per suo tramite) fa con il nostro DNA.
Mentre guardo distrattamente un film in cui una coppia passeggia mano nella mano di fronte ai grattacieli di Manhattan, penso a quale promettente prodotto potrà sostituire quello attuale.
D’improvviso si accende qualche neurone annoiato, e appare evidente la triste similitudine: la mia TV è proprio come l’Amore.
Anche lui, infatti, reca fin dalla nascita un’agonia, una previsione di sostituzione, un’efficacia che va scemando fino ad esaurirsi completamente. Allo stesso modo di un frigorifero o una lavatrice.
Il nostro tempo ridicolizza le promesse degli amanti, l’eternità dell’Eros, il vincolo della Philìa.
La felicità risiede in ciò che non abbiamo, nell’ipnosi del nuovo.
Del nuovo elettrodomestico, del nuovo partner, della nuova estasi.
Quello che possediamo è nulla al confronto di ciò che il nuovo promette.
Trasformati da sudditi in consumatori, abbiamo trasferito la frenesia dei black friday a tutto ciò che ci circonda, compresi gli esseri umani.
Ma cosa cerchiamo davvero in questa irrefrenabile corsa verso un rinnovato appagamento?
Forse la narcisistica affermazione dell’ego, la completa autosufficienza aggrappati a luccicanti pezzi di ricambio, l’illusione di onnipotenza sancita dalla piena indipendenza.
La convinzione di poterci auto-rigenerare ci conduce a tentare invano di riempire il vuoto delle assenze.
Ecco, abbiamo scambiato il valore dei sentimenti con quello effimero delle cose; crediamo che la totale autonomia dimostri la conquistata maturità. Ma, al contrario, la vera forza consiste nel riconoscere la propria vulnerabilità, la propria insufficienza, la propria nullità in assenza dell’altro.
Chi costruisce recinti e delimita confini ha, invece, una profonda angoscia: quella dell’incontro.
L’incontro d’Amore include un rischio assoluto, l’accettazione di una perdita dolorosa.
È per questo che l’isolamento mascherato da virile libertà è in realtà paura di quell’incontro.
Ma l’esperienza dell’Amore è l’esperienza del mondo che nasce una seconda volta, di un anelito ad oltrepassare quei confini, a realizzare quelle connessioni che chiamiamo vita.
Amore è desiderare ciò che abbiamo, scoprire le nostre debolezze e abbracciare quelle dell’altro. È rendere nuovo ciò che dura, e far durare ciò che si può facilmente gettar via.
Il televisore, prima di spegnersi, ascolta la mia solenne promessa: i suoi colleghi più performanti dovranno attendere ancora per anni.











