Un 25 aprile i cui valori sono essenziali per ribadire come gli italiani, figli di quella Liberazione, non possono non essere al fianco di ogni popolo che lotta per la propria Liberazione, come oggi fa quello ucraino
di Maurizio Bonanno
Mi piace l’appuntamento del 25 aprile. Mi piace perché porta in sé una definizione bellissima e importante: è la Festa della Liberazione. È la Festa per la Libertà.
Ed è la festa di tutti. Di tutti gli italiani e non di una parte sola. Perché alla Liberazione contribuirono gli italiani – tutti, di ogni credo politico che fosse improntato alle idee di democrazia e di libertà – e non solo di una parte. Una parte che – forse è il caso di ricordarlo – era portatrice di un’idea politica in realtà poco democratica e per niente liberale (certo, ai comunisti italiani va riconosciuto il merito di essersi distinti dalle idee sovietiche ed aver contribuito alla scrittura della Costituzione dalla quale nacque la nostra Repubblica, libera e democratica) eppure, per un qualche arcano mistero delle evoluzioni ideologiche, si è lasciato che se ne impadronisse facendone quasi una propria festa… quasi.
Quasi: perché io non ci sto a consegnarla ad una sola parte politica (a prescindere dal fatto che mi ci riconosca o meno, in quella parte politica), perché è festa di libertà celebrata da uomini liberi. E poi, perché, per dirla con Marcello Pera: “Usare il passato, il fascismo e l’antifascismo, come arma di battaglia politica per l’oggi, indugiare nelle revisioni storiche o alzare barricate anacronistiche, è inutile e dannoso. Inutile perché non porta neanche voti, dannoso perché esaspera solo gli animi e così rafforza gli avversari. E poi: se noi italiani non riusciamo neanche ancora a buttarci alle spalle quella roba lì, ma dove vogliamo andare?”.
Marcello Pera, 80 anni, una lunga carriera accademica da professore di Filosofia della scienza e di Filosofia teoretica, è ancora oggi senatore, dopo essere presidente del Senato dal 2001 al 2006. Ricorda come una cultura politica basata sul nazionalismo, il tradizionalismo, il conservatorismo cattolico rappresenti semplicemente posizioni classiche della destra europea. Nulla di più, nulla di diverso.
Ed allora, tutte queste polemiche rinvigorite da prese di posizione fuori luogo che si rincorrono dall’uno e dall’altro schieramento politico, a che servono? Quale utilità portano?
Insomma, basta con queste appropriazioni indebite; sarà anche il loro il 25 aprile, ma è anche mio. E lo rivendico… ricordando che non può che essere una celebrazione variopinta, ricca di tante e diverse sensibilità, perché sancisce la vittoria del pluralismo contrapposto al monocolore, al monopensiero, ovvero al pensiero unico imposto fino a quel momento con la forza dalla dittatura, dittatura fascista in questo caso.
La Resistenza, così come il Risorgimento, devono dunque rappresentare un patrimonio nazionale di valori che deve essere condiviso da tutti, senza contrapposizioni politiche o ideologiche. Appartiene alla sinistra, così come al centro allora rappresentato dalla Democrazia Cristiana, così come alla destra liberale, che sin dal gennaio del 1925, come Partito liberale italiano, passò all’opposizione di un governo del quale denunciava la volontà di sopprimere le libertà costituzionali e la voce del Parlamento.
La storia, poi, ricorda che i liberali italiani furono parte attiva del Comitato di liberazione nazionale sin dalla sua costituzione: fu Leone Cattani a essere delegato in rappresentanza dei Gruppi di ricostruzione liberale a stringere l’accordo di Milano del 4 luglio 1943, dove assieme a Riccardo Lombardi per il partito d’Azione, Concetto Marchesi e Geimonat per i comunisti, Mentasti per i democristani, Veratti per i socialisti, furono gettate le basi per la costituzione del Cln.
L’idea della Resistenza nasce come idea plurale, fatta non solo dai partigiani — di ogni fede politica — ma anche dai militari, dai carabinieri, dai religiosi, dagli ebrei, e dalle donne: moltissime donne. Eppure, ci sono personaggi di questa nostra storia recente che in virtù di una egemonia culturale e politica ancora imperante sono stati relegati ai margini ingiustamente; e che sarebbe tempo di riconsiderare, nei loro pregi che sono tanti e che vanno strappati dalla cancellazione, e sottoposti al vaglio critico senza pregiudizi; perché persone, questioni, avvenimenti, fatti, bisogna valutarli per quello che effettivamente sono stati, e non per quello che si desidera siano. Uno di questi personaggi, ad esempio, è Randolfo Pacciardi, leggendario combattente delle Brigate Garibaldi, parlamentare costituente, ministro degli Esteri, segretario del Partito Repubblicano, infine per decenni relegato ai margini della vita politica, Oppure come Edgardo Sogno, medaglia d’Oro. guascone nella vita e al tempo stesso gentiluomo di antico stampo, attentissimo e sensibile alla regola e alla sostanza. Edgardo Sogno Rata del Vallino (questo il nome completo), sabaudo fino al midollo, tre lauree (giurisprudenza, scienze politiche, lettere), è a capo di una formazione partigiana autonoma, liberale e monarchica, la “Franchi”; salva la vita a uno dei padri della Repubblica, Ferruccio Parri e viene insignito della Medaglia d’oro al valore militare. Dichiaratamente liberale e monarchico è a fianco di quanti si oppongono ai rigurgiti del neo-fascismo nostalgico, ma ancor più mobilitato contro i comunisti: «Sono contro tutte le dittature, nere o rosse che siano», il suo motto e il suo credo.
Eppure, con il passare degli anni, la memoria della Resistenza è stata tristemente «partitizzata» lasciando campo libero ad una sola parte che se n’è appropriata illegittimamente sia pure favorita dall’indifferenza degli altri che così lasciavano che la piazza fosse appannaggio di un relativismo malato dove non si distingue più la parte giusta dalla parte sbagliata, che invece dovrebbe essere evidente, perché è chiaro che se una contrapposizione c’è e deve essere rappresentata è solo tra chi professa e pratica la libertà e la democrazia e chi invece la nega (e i populisti, secondo voi, da che parte devono stare?).
Ed allora, da liberale e democratico, schierato con lo sguardo ad Occidente, posso con orgoglio dire di sentire, certamente e senza dubbio alcuno, che questa festa è la mia festa, e quella piazza è la mia piazza, perché in questa piazza mi sento a casa, perché la piazza è il luogo ideale dove festeggiare la libertà, dove festeggiare la nascita di una nazione libera e democratica che ha finora garantito ai suoi cittadini diritti umani, pace, sviluppo, progresso, prosperità, salute, diritti civili in dosi mai conosciute prima. Perché è bene ricordarcelo: la nostra Repubblica, la nostra democrazia compiuta è ancora giovane, ls nostra tanto esaltata Costituzione ha appena 75 anni di vita, un periodo brevissimo per le pagine della Storia.
Il nostro 25 aprile è la pagina eroica di una nazione intera che si sta ancora costruendo attraverso un percorso più complicato rispetto ad altre nazioni, perché la storia italiana non è fatta di grandi vittorie militari, di eserciti in grado di incutere timore, di politici capaci di disegni strategici globali (con due eccezioni: Camillo Cavour, al fianco di Vittorio Emanuele II, e Alcide De Gasperi, con Luigi Einaudi al Quirinale).
La storia italiana è fatta della genialità e dell’umanità della sua gente, di noi. Una genialità che si è espressa in un patrimonio artistico più grande di quello di tutte le altre nazioni messe assieme e di un’umanità che si è tradotta in capacità di sacrificio e di lungimiranza, come avvenne allora, come stiamo dando prova quotidianamente.
Ecco perché il 25 aprile deve costituire il momento in cui si mettono da parte le differenze ideologiche e politiche e si pone l’accento sui valori comuni della Resistenza, quale modello di riferimento importante e valido ancora oggi.
È la data simbolo della partecipazione italiana alla guerra degli Alleati per la liberazione del Paese dal nazifascismo. E poiché la liberazione è avvenuta propugnando gli ideali comuni della libertà, della democrazia e della giustizia sociale, se non abbiamo rinunciato a nessuno di questi valori, essi ci appartengono, al di là e al di sopra di ogni schieramento partitico, perché essi sono ancora attuali, perché essi sono ancora da difendere da pericolosi rigurgiti illiberali e antidemocratici sempre in agguato.
La bandiera che sventolava il 25 aprile del 1945 era il tricolore: quella che alle origini era la bandiera solo degli italiani che si riconoscevano nei valori di libertà e di democrazia, lanciati a suo tempo dalla Rivoluzione francese, allora una minoranza, all’alba della Repubblica diventa il simbolo di unione di un popolo intero: cattolici e laici, meridionali e settentrionali, comunisti e anticomunisti, liberali e democratici. Bandiera emblema di unità, perché l’Italia tutta fu quel giorno “liberata”. e con la Liberazione fu compiuta una scelta chiara e netta: stare con l’Occidente, con il mondo democratico e liberale, all’interno di una coalizione di nazioni libere e democratiche, scelta mai più messa in dubbio da alcuno e ribadita ancor più forte in questo difficile momento con la guerra in Ucraina, nazione che lotta per difendere la propria libertà in nome della democrazia. Un 25 aprile i cui valori sono essenziali per ribadire come gli italiani, figli di quella Liberazione, non possono non essere al fianco di ogni popolo che lotta per la propria Liberazione, come oggi fa quello ucraino. Per ribadire ferma condanna verso qualunque dittatura, senza distinzione di colore politico, di ideologia.
E il nostro tricolore deve essere ancora oggi l’unica bandiera che deve sventolare nella ricorrenza della Liberazione. Nessun altro simbolo, nessun’altra bandiera può trovare posto in questo giorno: non simboli di parte, non simboli liberticidi, non inni che inneggiano a idee che nulla hanno a che fare con la Liberazione.
Che il 25 aprile torni ad essere inteso come patrimonio condiviso e festa della libertà. Perché solo così deve essere celebrato, perché questo deve essere l’unico modo per festeggiare pienamente la liberazione, la festa condivisa dedicata ad angloamericani, partigiani di ogni colore, ebrei, antifascisti di ogni tempo, in nome della democrazia e della libertà.
Continuiamo, dunque, a festeggiare il 25 aprile facendo sentire la nostra presenza e non lasciando questa ricorrenza ad altri monopoli culturali. Perché questa festa sia la festa dell’Italia tutta: libera, unita, indivisibile.