I migliori, due giovani e due anziani: Mamhood e Blanco; Gianni Morandi e Massimo Ranieri. Non delude Achille Lauro
Ricordati di santificare le feste.
È un comandamento al quale gli italiani non si sottraggono: mai, costi quel che costi. E per gli italiani le feste principali sono tre, inderogabili: Natale, Pasqua e… Sanremo.
A dispetto degli altezzosi snob e degli intellettuali presunti ,che puntualmente ogni anno storcono il naso ed annunciano urbi et orbi il loro disinteresse e disgusto (ma il solo precisarlo e ribadirlo, accredita il Festival), la festa nazionalpopolare per eccellenza è e resta, da 72 anni, Sanremo.
Snobbare un fenomeno che tiene incollati gli italiani coinvolgendoli come non riesce la politica e come può fare solo la Nazionale di calcio, è atteggiamento spocchioso e falsamente ipocrita, perché non tiene conto del fatto che si tratta di un appuntamento annuale così avvolgente che torna utile ed istruttivo per comprendere le tendenze, i pensieri, gli indirizzi di quella massa con la quale necessariamente ci si deve misurare.
Ed allora, Sanremo: agli altri il piacere di storcere il naso, a noi il gusto di cimentarci in pensieri e opinioni.
È un rito, Sanremo. E come tutti i riti ha una necessaria ripetitività, che è anche rassicurante. Il ministro officiante, Amadeus, si limita ad eseguire i passaggi da cortese padrone di casa, non invadente, cordiale e gentile con gli ospiti. La gara si snoda secondo canoni prestabiliti da tempo immemore, così come l’alternarsi dei partecipanti. Ma è quello che sta intorno, in mezzo alla gara che fa la differenza.
I vincitori? Non ci sono dubbi, sono ancora loro: i Maneskin. Tornano sul palco dove è iniziata la loro marcia trionfale alla conquista del mondo. Ripresentano il pezzo del loro exploit, con il quale hanno messo “Zitti e Buoni” tutti, tutto il mondo. Lo fanno con generosità ed irruenza come se un anno non fosse passato: trascinano, esaltano, travolgono il compassato pubblico, finalmente tornato tra i velluti dell’Ariston. Questo brano è una liberazione, una scarica di adrenalina, qualcosa che per un attimo tutti noi vorremmo essere, è quella voglia di gridare al mondo “Siamo fuori di testa!“: che sogno!
Con loro, vince Fiorello. Che Sanremo sarebbe senza la scanzonata, dirompente presenza di Fiorello!
Sdogana la pandemia, ci fa ridere di essa a dispetto della rabbia e della disperazione che questo maledetto virus ha inoculato in ognuno di noi. E dà a tutti una lezione di vita mostrando come la tristezza possa – e debba – essere trasformata in ritrovata energia, in necessaria allegria. Perché, dinanzi ai disastri, è necessario reagire, ripartire, non lasciarsi sopraffare.
Soprattutto, però, trionfano, questi quattro fantastici ragazzi, quando confermano quanto da sempre, noi che amiamo le canzoni, sappiamo: i brani più dolci, più intensi, più emozionanti, le cosiddette ballad, le scrivono e le cantano i rocker. Coraline è un brano straordinario: intenso, profondo, ammaliante, doloroso e forte. L’emozione che suscita è lancinante: il testo è pungente, tenero e violento, l’interpretazione straziante, La chiusura è commovente… e le lacrime a stento trattenute da Damiano sono le stesse di quelle che spuntano tra il pubblico dell’Ariston ed il pubblico a casa. Un grande momento che conferma la potenza della musica!
E la gara? Ah, già, la gara. Perché Sanremo è un festival con una gara canora che sancirà un vincitore; o meglio, un vincitore ufficiale ed altri vincitori che grazie a Sanremo partono, ripartono, si affermano, si confermano.
È sintomatico che la gara sancisca, in questa prima serata, dei vincitori dal forte valore simbolico. Perché i migliori, a nostro modestissimo avviso, sono due giovani e due anziani. Mahmood e Blanco hanno saputo mettere i Brividi. Bella la canzone, bella l’interpretazione, bella l’intesa. Bella l’idea di mettere a confronto e in dialogo due mondi e due modi diversi di vivere ed esprimersi, tra generazioni X. L’idea funziona e loro sanno come rappresentarla: hanno saputo mettere i Brividi!
All’altezza del ruolo e della loro storia sono apparsi i due anziani del gruppo: non hanno deluso. Gianni Morandi mostra di rimanere l’eterno ragazzo amato da una infinità di generazioni. La sua canzone è necessaria, perché trasmette solarità ed allegria: in radio la sentiremo spesso e tutti riusciremo a canticchiarla provando ad esorcizzare questo momento della nostra vita.
Discorso a parte per Massimo Ranieri. Brano dalla forte caratterizzazione, come un copione teatrale piuttosto che uno spartito musicale. Testo profondo che invita a ripensare al tema mai superato dell’emigrazione, della speranza che si affianca alla disperazione. Musicalmente impegnativo, che richiede una voce potente come la sua.
Ma è il brano e ciò che rappresenta che colpisce. Una storia di emigrazione raccontata con trasporto. Perché l’emigrante è così: disperato perché lascia la sua terra non per scelta ma per necessità, carico di speranza perché parte in cerca di realizzazione e di riscatto. Quando Massimo Ranieri canta frasi come – L’America… lontana/ Di là dal mare. Dove piove fortuna, dov’è libertà/ E l’acqua è più pura di un canto./ Ed è silenzio tra due sponde/ La terra un sogno altrove./ Ma in un punto del viaggio la pioggia cadrà/ Su ogni paura ed oltraggio” – noi che siamo terra di secolare emigrazione ci rispecchiamo… consapevoli che non è purtroppo finita!
Non delude Achille Lauro: bel brano, provocatore nell’esibizione, come ci ha abituati, ma che rimane – è il caso di ribadirlo anche quest’anno, così come lo sono state le performance della scorso anno – una citazione, un riprendere altro che altri grandi artisti hanno già fatto. Lo fa bene e tanto basta.
Infine, c’è già un primo tormentone, anzi.. una meme: è il Ciao Ciao della Rappresentante di lista.
Il resto? Poco da segnalare.
Qualcuno avrà da dire sulla presenza di Ornella Muti. Non è permesso. Ornella Muti è un mito, il sogno di chi – adolescente a quel tempo, come me – la ha ammirata, amata, desiderata. Ha classe, è ancora bella, così come è stata bellissima. Un monumento. E quando guardi un monumento non hai null’atro da chiedere, se non ammirare e ricordarne le gesta. Non conta altro… e l’oggi è solo il frutto di un ieri mai dimenticato!
Aspettiamo adesso il secondo round, la seconda serata. La aspettiamo speranzosi, alla faccia degli snob e degli intellettualoidi… Perché Sanremo è Sanremo!