Hanno vinto Mahmood e Blanco. Premiati anche Elisa, Massimo Ranieri, Gianni Morandi e il “vibonese” Fabrizio Moro
Brividi al Festival di Sanremo.
Il duo nato per questa occasione porta a casa il risultato più giusto. Mahmood, seconda vittoria personale al Festival della Canzone italiana, si conferma uno dei talenti più interessanti dell’ultimo periodo: scrive belle canzoni per sé e per gli altri, è autore stimato al quale volentieri si offrono altri interpreti e non delude. Aver deciso di affiancarsi ad un emergente come Blanco, generazione più giovane della sua, è stato un gesto di generosità ma anche di marketing. Perfettamente calzante nel testo, gradevole nella musica armonizzata attraverso la voce di Mahmood, il cui suono è come un organo.

Si chiude un festival il cui bilancio è, com’è inevitabile, tra luci ed ombre.
Sul piano musicale, le canzoni in gara non sono apparse tutte all’altezza e lo si è capito scorrendo la classifica ed i premi assegnati: nessuna novità, nessuna nuova scoperta, nessun balzo in avanti, nessun colpo come accaduto con i Maneskin lo scorso anno. Il podio, come sottolineato dal veterano del gruppo, è stato emblematico: in tre + 1 a rappresentare tre generazioni più uno (perché Blanco è il quarto ed il più giovane): Gianni Morandi la storia, Elisa la intermedia che si appresta a diventare storia, Mahmood il presente con Blanco che è il futuro. Ed il messaggio che arriva dalla classifica finale è incoraggiante: vince questo presente che sa proiettarsi nel futuro, anzi che fa da trampolino verso il futuro (in fondo, è proprio quello che Mahmood ha fatto proponendo di cantare in coppia col giovane Blanco).

Per il resto, parafrasando Cocciante: era già tutto previsto!
Se qualcuno di voi ha dedicato una parte del suo tempo ai commenti delle serate precedenti, trova già tutto quello che alle due di notte si è verificato. E, come sempre, sono i premi collaterali che sopperiscono alla classifica popolare dando giusti riconoscimenti a chi li merita.
Ed allora, che il Premio delle Critica Mia Martini sia andato a Massimo Ranieri è più che giusto: la sua Lettera al di là del mare è un piccolo capolavoro che ci ha ammaliato sin dalle prime note, sin dal primo ascolto: intensa fino alla commozione.
Di grande significato il Premio Lucio Dalla a Gianni Morandi. L’eterno ragazzo è stato il momento più trascinante del festival: per allegria, per voglia di spensieratezza, per necessità di affrancarsi da questo clima pandemico opprimente. Davvero ha aperto tutte le porte… e pure le finestre facendo entrare aria fresca e pulita. Che poi l’abbia vinto un caro amico di Lucio Dalla è ancora più significativo, fino all’emozione.
Assaporiamo anche un retrogusto calabrese, anzi vibonese, in questo festival, grazie al Premio Sergio Bardotti per il miglior testo assegnato a Fabrizio Moro. Lo avevamo definito “poetico” e così è stato. Abbiamo detto di un retrogusto vibonese perché, sebbene nato a Roma, in Fabrizio Mobrici, questo il suo vero nome, scorre sangue calabrese: sono di S. Cono, frazione di Cessaniti, i suoi genitori e lui stesso è venuto e, quando può, torna tra i suoi parenti, nella sua terra d’origine.

Sin dal primo ascolto, avevamo esaltato le qualità di Elisa e la conferma è arrivata, anche in questo caso, con il Premio Giancarlo Bigazzi per la migliore composizione musicale.
Insomma: era già tutto previsto, appunto.

Da segnalare il quarto posto di Irama, che merita una citazione per la qualità che anche in questa occasione ha mostrato. Così come siamo certi che con il passare dei mesi continueremo di sicuro a sentire certi tormentoni: la Chimica di Rettore e Ditonellapiaga, il Ciao Ciao della Rappresentante di lista. Forse, in qualche villaggio turistico, si ascolteranno pure le Duecentomila ore di Ana Mena, maltrattata invece dalla classifica.
Un’ultima notazione.
Dopo l’exploit della prima serata, siamo andati alla ricerca di Fiorello, la cui mancanza si è sentita – e molto – la sera successiva. Alla fine, ce ne siamo dimenticati. Grazie alla qualità offerta da una brillante Maria Grazia Giannetta e da una rassicurante Sabrina Ferilli (della classe inappuntabile di Drusilla si è già detto… e anche troppo), abbiamo scoperto che il Festival si può condurre con linearità e ritmo, anche senza Fiorello. E, malgrado l’ora tarda che puntualmente si è ripetuta ogni sera, si è riusciti a restare svegli.
Perché sarà pure vero che Sanremo è Sanremo, ma la televisione ha le sue regole, i suoi ritmi.
Bene, finisce qui. Anche quest’anno abbiamo rispettato la tradizione ed officiato il rito nazionalpopolare che tutti unisce: tutti, compresi gli snob che, snobbandolo ed informandoci del loro snobbarlo, lo hanno riconosciuto ed accreditato, anche stavolta come ogni volta. Loro prendendosi sul serio, noi consapevoli che – passando da Cocciante a Bennato – in fondo, sono solo canzonette!