Frequentò il Cine Club di Vibo Valentia. La storia del ponte dell’Ariola ricordata dallo scrittore Mimmo Gangemi
di Maurizio Bonanno
Il 5 marzo di un secolo fa nasceva uno dei maggiori protagonisti della cultura italiana del ’900.
Pier Paolo Pasolini fu sperimentatore di generi, di linguaggi e stili; artista che coltivò l’audacia della contraddizione, mai stanco di sfidare i limiti, di abbattere i recinti. Uomo che non si accontentava mai di sé e per questo ha continuato a sperimentare modi diversi di vivere e di comunicare: promotore culturale, inventore di riviste, pedagogo, autore di poesie, di romanzi, di racconti, di teatro, di canzoni, di studi sulla cultura popolare, di saggi critici e linguistici, di polemiche e interventi sui giornali, antologista, riscrittore di classici (si pensi alla Divina Commedia), traduttore, viaggiatore e autore di reportage, sceneggiatore, regista di cinema, pittore. Continuò a cercare modi diversi per il semplice fatto che più della letteratura, del cinema, del teatro gli interessava vivere la vita, farla trionfare. E con la Calabria ebbe un rapporto particolare, in special modo con Vibo Valentia ed il Vibonese.
Anche per questo, ricordarlo appare un dovere, oltre che una necessità per non dimenticare il messaggio di questo artista completo.
A Vibo Valentia arrivò varcando la soglia di Palazzo Stagno d’Alcontres, allora sede del Cine Club che Franco Inzillo aveva creato con tantissimi vibonesi valorosi come il fratello Totò, Mario e Pino Orefice, Franco Pugliese, Enzo Crupi, Enzo Trungadi, Andrea Frezza, Raniero Pacetti, Gennaro Donato, Colombo Achille, Arturo Daco e tanti altri.
Come raccontò Andrea Fezza, in una delle sue ultime interviste proprio a noi concessa, quel Cine Club era un punto di riferimento culturale capace di attirare le attenzioni ben oltre i confini regionali e riuscendo a portare a Vibo Valentia personaggi straordinari del mondo del cinema. Tra questi, appunto, Pier Paolo Pasolini.
Erano gli anni in cui Pasolini si dedicava intensamente alla scoperta ed allo studio del mondo contadino. In questo contesto storico, sul finire degli anni ‘50, quando nella mente poliedrica dell’artista cominciava a prendere corpo l’idea di realizzare “Il vangelo secondo Matteo”, Pasolini decise di mettersi in viaggio per venire in Calabria. Si intrattenne a lungo nella zona di Crotone, soprattutto a Le Castella, dove poi fu ambientato in parte il film. Qui avviò contemporaneamente anche i suoi studi di carattere antropologico approfondendo la conoscenza dei contadini della zona, tra cui Rosario Migale, che nel film “Il vangelo secondo Matteo” interpreterà la parte di Tommaso.
Ma forte era il fermento culturale anche dall’altra parte della Calabria. E fu così che dalla jonica passò alla Calabria tirrenica grazie all’invito di alcuni giovani, in particolare il regista vibonese Andrea Frezza, che da ragazzo aveva frequentato il centro sperimentale di cinematografia di Roma e che in quegli anni a Vibo Valentia era tra gli animatori del Cine Club.
Pasolini colse l’occasione per fare un giro tra gli ambienti contadini del vibonese. Dopo aver partecipato ad una conferenza nell’auditorium della scuola Don Bosco, si recò in località Ariola nel comune di Gerocarne, dove era in atto una contestazione contadina contro il potere locale. I contadini rinfacciavano alla giunta comunale dell’epoca di essere insensibile ai bisogni ed alle istanze della comunità dell’Ariola che rivendicava strade, collegamenti con il comune principale e la tanta agognata elettricità che era una speranza per il mondo contadino dell’epoca.
La cronaca del tempo racconta che Pasolini partecipò ad una riunione di quei contadini che si tenne nel posto telefonico pubblico di proprietà della famiglia Santaguida e qui ebbe modo di ascoltare i sogni, le speranze, le utopie e soprattutto il disagio di quei contadini calabresi e di prendere coscienza di questo mondo del sud.
Il tour di Pasolini – accompagnato da Andrea Frezza, da Franco Inzillo, da Sharo Gambino e da Aldo Rosselli – si spostò a Serra San Bruno, dove visitò il centro storico e la Certosa, ma a lui era rimasto impresso il disagio di quegli uomini e donne dell’Ariola e per questo assunse l’impegno di dare loro un aiuto concreto. Una volta ripartito, Pasolini fece recapitare al comitato una somma di 50mila lire che i contadini utilizzarono per costruire un ponte, punto di collegamento tra Ciano di Gerocarne e l’altopiano dell’Ariola.
A ricordare questa storia e raccontarla con il suo modo di straordinario narratore qual è, lo scrittore Mimmo Gangemi in un articolo apparso su La Stampa il 13 marzo 2017.
«Siamo sulle Preserre vibonesi, comune di Gerocarne, sugli 800 metri d’altezza. È la contrada Ariola – scrive Gangemi – fino agli anni ‘ 60 abitata da contadini, carbonai, pastori, artigiani vasai e confinata ai bordi della civiltà, che ancora non era riuscita a inerpicarsi fin lassù. L’unico sussulto di cronaca, per opera del brigante Peppe Musolino, leggendario ma non da andarci orgogliosi: in località Pietra delle Armi perpetrò la sua vendetta mortale su uno dei due fratelli Zoccali, intento al taglio di un bosco. Un ponte qualsiasi, e anonimo, se non si fosse intrecciato con la storia di Pier Paolo Pasolini».
Gangemi ricostruisce la storia di quel ponte, ma soprattutto di quel fortuito incontro tra Pasolini e le «molte facce di Ariola, i dannati della terra, uomini e donne, di un tempo rimasto immobile, che estate e inverno calzavano la sola scorza dura della pianta dei piedi e con fattezze antiche di cui altrove s’era perso lo stampo. Pasolini giunse ad Ariola da Vibo Valentia, dando ascolto all’istinto proletario e alla passione per il mondo contadino che tanto ispirò le sue opere, vi si intersecò. Vi giunse dopo aver scoperto che in quel paesino di cinquecento anime, disperso in un’epoca distante l’intera storia e dove i forestieri che non avessero gli abiti dei cafoni e i volti piagati dalla fatica diventavano una novità su cui sgranare gli occhi e sprofondare inchini, era in atto una protesta contro il Comune che manteneva intatto il Medioevo: una mulattiera per giungervi, niente fogne, niente rete idrica, sterrata la viabilità interna, polverosa d’estate e un acquitrino fangoso dopo ogni pioggia, e l’elettricità limitata al minuscolo borgo, il buio invece per le numerose case sparse nella campagna intorno. Gli toccò percorrere un sentiero in salita ch’era poco più d’una mulattiera. Lui e la troupe a piedi, la macchina da presa a dorso d’asino».
Accadde in quel che tempo che i problemi dell’abitato circolarono per tutta la regione, creando sdegno, qualche confronto, ma nulla più; sicché, alla fine, l’unico aiuto economico giunse proprio da Pasolini che mise mano al portafogli e donò la somma di cinquantamila lire – equivalente a circa cinquecento euro di oggi – cifra con la quale – come dicevamo – gli abitanti di Ariola riuscirono a costruire il desiderato ponte su un vallone, altrimenti intransitabile.
Lo stesso Mimmo Gangemi ricorda poi che Pasolini «Dopo, non dimenticò Ariola. E intrattenne una fitta corrispondenza con una famiglia del luogo. Peccato che l’emigrazione abbia disperso, assieme agli uomini, quelle lettere».
L’attuale sindaco di Gerocarne, Vitaliano Papillo, ha già fatto richiesta alla prefettura di poter intitolare quel ponte proprio a Pier Paolo Pasolini.
Della presenza dello scrittore in Calabria si parla in un film girato nel 2002 proprio a Vibo Valentia dal regista Aurelio Grimaldi “Un mondo d’amore”, che annovera tra gli interpreti l’attore vibonese Dario Costa.
Tutto questo sarà ricordato nel corso di un incontro che l’amministrazione comunale, con l’assessore alla Cultura, Daniela Rotino, sta organizzando in collaborazione con il CEV, in programma il prossimo 11 marzo nel Salotto della Capitale a Palazzo Gagliardi.