È morto questa sera a Roma. Con lui scompare uno degli antropologi più importanti della cultura italiana
Incontrarlo era sempre un’emozione: anche la più semplice chiacchierata con lui non era mai banale e pochi minuti erano sufficienti per arricchirsi attraverso le sue parole. Il segreto del suo fascino era nel suo modo di dire, di raccontare: quel tono pacato, da affabulatore, calamitava non importa se seduti in salotto oppure in un’aula universitaria: l’effetto era lo stesso!
Forti di quel rapporto familiare di parentela, sin da subito mi aveva imposto di dargli del tu, ma non era semplice dinanzi ad una figura di intellettuale così prorompente; eppure quell’approccio diretto, confidenziale era stato accelerato grazie alla bonomia del suo carattere: era un punto di riferimento della cultura, ma il suo atteggiamento – nobile, quale egli realmente era, ma mai spocchioso – annullava ogni soggezione.
Personalità forte, eppure figura discreta. Dalla riconosciuta autorevolezza accreditata dal valore scientifico del suo percorso di ricercatore e di docente, eppure mai tracotante. Gentile e riservato, allo stesso modo di come ha vissuto ha preso congedo dalla vita. Questa sera a Roma intorno alle 21.30.
Luigi Maria Lombardi Satriani se n’è andato in punta di piedi all’età di 86 anni: era nato a San Costantino di Briatico il 10 dicembre del 1936 dalla famiglia dei Baroni di Porto Salvo. Fu Lo zio Raffaele, celebre studioso di tradizioni popolari, ad iniziarlo alla scienza dell’antropologia. Ancora oggi il palazzo di San Costantino è un luogo di cultura che, a quel tempo, fu frequentato da Pasquale Galluppi, Gerahls Rohlfs, Fortunato Seminara. Qui, il giovane Luigi ne visse le temperie e il condizionamento culturale da cui trasse l’ingegno per i suoi studi sulla cultura contadina, la religiosità popolare ed il folklore. Intanto, gli studi universitari in Scienze politiche lo avevano portato a Napoli, da dove avrebbe poi spiccato una carriera accademica lunga e prestigiosa. Prima l’Ateneo di Messina, poi la Federico II di Napoli, l’Università della Calabria e infine La Sapienza di Roma dove la sua cattedra di etnologia è diventata un’importante scuola di pensiero.

Con Luigi Maria Lombardi Satriani scompare uno degli antropologi più importanti della cultura italiana.
Negli anni Sessanta, nel clima concitato e a tratti drammatico della contestazione, revocò in questione la rappresentazione dominante della cultura popolare. Divisa tra marxismo e crocianesimo, distanti ma concordi nel guardare al mondo contadino come ad un’umanità ferma su un binario morto dello sviluppo. È il momento in cui elabora il concetto di «folklore come forma di contestazione» riuscendo così nell’operazione di far uscire la civiltà contadina con le sue credenze, timori e valori, dall’angolo buio della storia, riproponendola come una cultura del presente, non come una semplice sopravvivenza o un «relitto folklorico».
Era, nel frattempo, diventato il “barone rosso”, un appellativo conquistatosi perché aveva saputo coniugare la sua origine aristocratica con le sue idee politiche, orientate verso l’area progressista. Posizione politica che lo portò anche ad entrare in Senato nel 1996 in quota all’Ulivo, eletto nel “suo” collegio, quello che comprendeva il territorio vibonese.
Grande visione scientifica e umanità generosa, addirittura straripante, era instancabile e vulcanico: ha insegnato contemporaneamente anche antropologia giuridica e antropologia del viaggio all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e trovava pure il tempo per soggiorni all’estero come visiting professor: a San Paolo, Austin, Montreal. A tutto ciò aggiungeva una intensa produzione pubblicistica per testate nazionali e presenze televisive.
Nel 1982 vinse il Premio Viareggio con Il ponte di San Giacomo, un bellissimo libro scritto con Mariano Meligrana sull’ideologia della morte nel mondo contadino italiano. Una prova vincente di quella sua capacità di coniugare il rigore della ricerca con la letterarietà della scrittura. Un’analisi delle credenze e dei rituali della morte nel Mezzogiorno centrata sulla metafora poetica di quel ponte sottile come un capello che conduce le anime nell’altro mondo.
Acuto, colto, eclettico. Ha ispirato intere generazioni di antropologi, ma non solo: è stato un maestro del libero pensiero e dell’osservazione sociale attenta alle classi popolari e ai mutamenti sociali.
Il suo metodo era il rispetto di ogni diversità come regola universale. Conoscendo le mie idee e la formazione culturale di stampo liberale che caratterizzava questo suo giovane parente che faceva il giornalista, amava provocarmi in un confronto con la sua personale impostazione che pure nel “liberale” Croce aveva un dichiarato riferimento. Ed ascoltarlo era occasione imperdibile per la fascinazione che procurava col suo eloquio.

Spesso ci siamo ritrovati a parlare di un’altra sua vincente ispirazione culturale avendo condiviso (e, nel mio piccolo ruolo di cronista di periferia, anche esaltato e promosso) l’iniziativa da lui sostenuta di riabilitare e promuovere la pubblicazione dell’opera più controversa – ma bella! – del poeta vibonese Vincenzo Ammirà: La Ceceide.
Firmando l’Introduzione alla sua ripubblicazione avvenuta nel 1998 a cura di Carlo Carlino, Luigi Maria Lombardi Satriani, se da un lato ne denunciava l’errata condanna all’oblio, che aveva impedito una lettura più serena ed approfondita della sua opera, dall’altro invitava ad una rivisitazione critica che la collocasse “adeguatamente nel panorama dell’intellettualità meridionale”.
Proprio per questo, durante una delle nostre ultime chiacchierate gli avevo proposto l’idea di procedere ad una nuova pubblicazione in chiave critica, ipotesi che lo aveva intrigato.
Intanto, era tornato a Roma e fino a qualche settimana fa stava lavorando a un libro sul viaggio, ma ha deciso di andarsene prima, all’improvviso.
A noi lascia la libertà del pensiero quale sua vera grande eredità.