Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 30 ottobre
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime/i,
con questa pagina del vangelo di Luca (Lc,18,1-10) sempre in cammino verso Gerusalemme, siamo a Gerico, dove avviene un incontro particolare, carico di grande umanità.
“In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, che cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua.”
Gerico, un sicomoro, un uomo: su questi tre nomi Luca (e solo lui fra gli Evangelisti!) costruisce una storia della misericordia di Dio fra le più toccanti dei Vangeli.
Gerico (la profumata).
Al tempio di Gesù era una rinomata stazione climatica, raffinata e mondana. Era frequentata da personaggi importanti della politica e della finanza. Anche Erode, costruito un lussuoso palazzo, passava l’inverno con la sua corte.
Gerusalemme, la città santa col suo profumo d’incenso, Gerico, la città corrotta dai lascivi costumi!
Il sicomoro (l’albero della follia).
Pianta che fa parte della vegetazione subtropicale.
Questo albero, originario dell’Egitto, ha anche un nome greco che significa “fico a forma di mora”. Amos, il profeta, vissuto nell’ottavo secolo a. C. era un raccoglitore di sicomori, quando Dio lo chiama a denunciare il malcostume dei governanti ed il culto ridotto a pura esteriorità.
Diviene celebre questo albero dal momento in cui rientra nella narrazione di Luca.
Zaccheo (il puro, l’innocente).
Zaccheo, a Gerico, è un alto funzionario del fisco romano che, con i suoi esattori, prosciuga le tasche dei poveri. È odiato e bestemmiato da tutti, ritenuto venduto all’invasore e perduto per sempre. Questa storia senza senso di Zaccheo acquista luce piena con l’intervento di Gesù, itinerante verso Gerusalemme.
Per Gesù Zaccheo è principalmente un uomo con il suo nome proprio, degno di attenzione, perché “anche lui è figlio di Abramo”.
Difatti Gesù, giunto sotto l’albero, alza gli occhi verso l’alto e incrocia lo sguardo smarrito del nascosto tra il folto fogliame, creando, così, uno spazio di fiducia e di libertà con quel “Zaccheo scendi subito, oggi, devo venire a casa tua”. Risveglia in lui il desiderio di “altro”, di una vita nuova.
Gesù non condanna la sua pessima condotta di capo dei pubblicani, non dice convertiti, cambia vita e poi verrò a casa tua. No, al contrario! Dice: “oggi devo venire a casa tua”.
Oggi anche noi dobbiamo andare nelle periferie esistenziali per fare casa, cioè, dare fiducia, creare un clima relazionale nel quale l’altro, l’emarginato, a qualunque livello, ricco o povero che sia, si senta soggetto di storia.
È questo, oggi, il compito del cristiano: andare e fare casa a scuola, negli uffici, in famiglia, nelle chiese, sul luogo di lavoro. Fare casa, perché avvertiamo un rigido inverno relazionale, uno smarrimento sconcertante nei giovani e negli adulti, quale conseguenza della pandemia che tarda ad andarsene, delle guerre che rendono gli uomini folli, dei paperon dei paperoni che affamato l’umanità…
Sul testamento di Zaccheo: “ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”, scende la benedizione: “oggi per questa casa è venuta la salvezza”
La benedizione del Signore, anche oggi, scende su chi come Zaccheo ” non guarda indietro, ma va avanti sulle tracce di Cristo” (Filippesi 3,13);su chi aiuta gli altri a diventare migliori:
- l’indù ad essere un indù migliore;
- il musulmano ad essere un musulmano migliore;
- un cristiano ad essere un cristiano migliore.
(santa madre Teresa di Calcutta)
Buona domenica con la novità che ci viene da uno dei detti dei padri del deserto della Tebaide (terzo secolo dopo Cristo).
A chi chiedeva: “Abba’ Antonio, cosa fai oggi?”
Abba’ Antonio, padre dei monaci e novantenne, rispondeva :”io oggi, ricomincio”.
Don Giuseppe Fiorillo