[adrotate group="4"]

Don Fiorillo, non dobbiamo avere paura di restare soli: Gesù non ci lascia orfani

Riflessioni sulle pagine di domenica 14 maggio

di Mons. Giuseppe Fiorillo

Carissime/i,
il brano del vangelo di Giovanni (Gv. 14,15-21), che la liturgia di questa sesta domenica di Pasqua ci propone, ci porta nel Cenacolo dove Gesù celebra l’ultima Cena.
Nel lungo ed intenso colloquio con i suoi discepoli (capitoli 13-17 di Giovanni) più volte parla della sua imminente partenza da questo mondo, con la conseguenza di un profondo sconforto nei suoi, feriti dalla paura di restare soli.
Tutti abbiamo vissuto l’esperienza dell’abbandono di una amicizia, nella quale confidiamo tanto; la vicenda di una comunità che si sente persa per la inaspettata mancanza della propria guida; la storia di una madre che si trova sola con figli piccoli, perché l’uomo della sua vita se ne è andato; la delusione di una Chiesa che volevamo profetica ed è diventata troppo istituzionale…. la paura delle paure: la paura di non essere attesi da nessuno e non attendere più nessuno.
Gesù conosce bene le ferite dell’abbandono:
A Cafarnao nella Sinagoga, dove preannuncia, nel suo discorso, l’Eucarestia, tutti lo abbandonano, restano i Dodici, ai quali dice: ve ne volete andare anche voi?
Nel Getsemani si lamenta con i tre più intimi: Pietro, Giacomo e Giovanni dicendo loro: non siete stati capaci di vegliare con me neppure un’ora?
Sul Golgota, dall’alto della croce, grida forte: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Marco 15,34)
Gesù, conoscendo bene la sofferenza dell’abbandono, assicura i suoi con questa promessa: “se mi amate osserverete i miei comandamenti; ed io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito, perché rimanga con voi per sempre, lo spirito di verità… Non vi lascerò orfani” (Gv.14, 15-18).


Gesù promette ai Suoi e, quindi, a noi, la venuta dello Spirito che Giovanni chiama “Paraclito”.
Paraclito è un termine greco di origine forense, adottato anche dalla lingua ebraica-aramaica, parlata da Gesù.
Nei “discorsi di addio”, nell’ultima Cena, Gesù pronunzia cinque volte la parola Paraclito.
Paraclito significa letteralmente “colui che è vicino”, il compagno di vita che aiuta, il consolatore, il “maestro interiore” (Sant’Agostino).
(Nel mondo antico l’imputato doveva difendersi da solo. Era, tuttavia, ammesso nel processo un amico che poteva suggerire qualcosa all’imputato parlando a bassa voce ed all’orecchio).
In definitiva il Paraclito è il sostituto di Gesù (l’altro Paraclito) e, come Lui, non ci lascia soli, ma ci sta a fianco e ci assiste nei momenti più difficili della vita.
Un discepolo quindi: “non dovrà preoccuparsi di come o cosa dire perché gli sarà suggerito in quel momento ciò che dovrà dire: non sarete voi a parlare ma lo Spirito del Padre vostro che parlerà per voi” (Matteo 10,19-20).
Anche a noi, oggi, Gesù concede il dono del Paraclito con l’impegno di essere noi stessi buoni paracliti… e:
– portare pace dove c’è gente che odia e scatena guerre;
– essere tessitori di buone relazioni dove ci sono intrecci, intrisi di peccato;
– essere portatori del sacramento della consolazione dove c’è morte, angoscia e disperazione.
Buona domenica.
Don Giuseppe Fiorillo

Exit mobile version