Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 2 luglio
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime/i,
il brano evangelico di questa 13.ma domenica del T.O. (Mt.10,37-42 ) presenta l’ultima parte del discorso missionario, rivolto ai Discepoli, inviati ad annunziare il Regno di Dio e realizzare, così, un mondo nuovo.
Al centro del pensiero di questo brano c’è un paradosso (paradosso: affermazione che, per il contenuto, appare in contrapposizione all’opinione comune!), che distingue il cristianesimo; ed è questo: per vivere bisogna morire, per vincere bisogna perdere, per ricevere bisogna donare.
In questa pagina abbiamo tre paradossi.
Primo paradosso.
“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me”. (Mt.10,37)
Mettere nelle relazioni familiari il messaggio di Gesù al primo posto è raggiungere un amore più pieno e più oblativo. Gesù aggiunge sempre e non toglie mai.
All’amore dei genitori verso i figli aggiunge impegno a consolidare radici e dare robuste ali per spaziare sempre più in alto. Al desiderio di vedere nei figli la propria bella copia aggiunge l’umiltà di lasciare ai figli la libertà di scegliere le strade da percorrere. Bene ha scritto Paolo nell’interpretare la gratuità di questo amore: “l’amore è paziente, è benigno l’amore, non è invidioso l’amore, non si vanta, non si gonfia” (1 Corinzi 13.4-6).
Secondo paradosso.
“Chi non prende la propria croce e non mi segue non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 10,38-39).
Quando Gesù pronuncia queste parole gli ascoltatori sapevano cosa era la croce, perché, quasi ogni giorno, vedevano sulla collina del Golgota, morire tra forti lamenti, gente crocefissa.
E poi, nella memoria collettiva del popolo, era ancora fresco il ricordo della crocefissone di duemila zeloti, tutti in un giorno, ad opera di Quintilio Varo, governatore della Siria, avvenuta circa 30 anni prima (nel 3 a.C.).
Nonostante queste immagini e queste memorie, Gesù propone la croce quale completa dedizione a Lui per affrontare l’ostilità del mondo fino all’offerta della propria vita. È spendendo la propria vita per gli altri che si accresce la nostra gioia e si dà senso pieno al nostro vivere.
E la crocifissione continua, oggi, in senso fisico (quanti cristiani, ogni anno, vengono letteralmente uccisi per il Vangelo!) ed in senso morale (quanti valori cristiani vengono messi in soffitta!)
” Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo; non bisogna dormire durante questo tempo” (Blaise Pascal, Pensieri n.553).
Terzo paradosso.
“Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta.. .chi accoglie un giusto…chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa” (Mt.10,40-42).
In contrapposizione alla persecuzione c’è l’accoglienza alla quale Gesù da’ molta importanza, perché Lui è sempre con la gente con la quale condivide gioie e dolori, attese e speranze.
Il popolo di Dio, secondo quanto ci chiede Gesù, è chiamato a dare accoglienza ai profeti, predicatori itineranti, ai giusti, cristiani autentici ,ai piccoli, credenti e non, bisognosi di aiuto. Accogliere un piccolo è accogliere Gesù stesso: “tutto quello che avete fatto ad uno solo di questi piccoli, l’avere fatto a me” (Mt.25,40,).
Bisogna accogliere tutti, ma in maniera preferenziale, bisogna accogliere i piccoli, perché, così, mostriamo di amare Gesù che, in vita ha sempre accolto tutti ma con particolarità i reietti della terra: ciechi, zoppi, lebbrosi, prostitute, pubblicani…
Ma, oggi, la comunità cristiana è capace di farsi soggetto di accoglienza?
Buona domenica con la certezza che basta dare un bicchiere d’acqua fresca con amore, per avere un posto nel cuore di Dio.
Don Giuseppe Fiorillo