Piccole riflessioni sul finire di questa strana estate
di Maurizio Bonanno
Mi rivolgo innanzitutto a quelli della mia generazione. Ai giovani, invece, suggerisco di cercare su Google o su Youtube i filmati. L’invito è vedere un cartone animato davvero divertente. ma in realtà anche molto istruttivo per il messaggio che sottende; anzi, a me pare molto utile a comprendere quello che sta accadendo in certi luoghi “elevati” della nostra città.
Il titolo originale del cartone animato che la mia generazione ha conosciuto ed apprezzato è Pinky and the Brain, in Italia ribattezzato Mignolo e il Prof.
Questo perché in Italia il cartone è stato trasmesso per la prima volta nel 1995 su Rai 2 e poi replicato sul canale satellitare Boing. Tutti gli episodi hanno come tema principale la brama di potere di Prof che in ogni episodio coinvolge Mignolo, suo collaboratore ed assistente, ma soprattutto paziente aiutante di imprese improbabili che solo per affettuosa devozione verso il suo capo accetta pur essendo di fatto la coscienza critica e colui che cerca di metterlo dinanzi alla realtà.
Gli improbabili piani per la conquista del mondo da parte del Prof puntualmente falliscono a causa della presunta inettitudine di Mignolo, ma soprattutto per colpa di alcuni errori “umani” da parte proprio di Prof. Gli episodi ritraggono sempre i topolini (perché di questo si tratta: due topolini, due tipiche cavie) all’interno di una gabbietta situata nel laboratorio di uno scienziato.

Ed è qui l’aspetto istruttivo di questo che in realtà non è un semplice cartone animato, piuttosto è la metafora di quanti, dei tanti, che, convinti che quella gabbietta sia il trampolino da cui lanciarsi verso la conquista del mondo intero, progettano la “conquista del mondo”, secondo un principio inevitabilmente monopolista. E, se l’operazione non riesce, la colpa non è mai imputabile ai propri limiti o inettitudine (ipotesi questa non contemplata, perché ognuno si sente un Prof infallibile), ma negli altri, in quanti non comprendono la grandezza di quel fare, di quel progetto. E c’è una sola spiegazione ammissibile nella mente del Prof di turno: ci temono, ci combattono, hanno ordito un complotto ai nostri danni per impedire di realizzare l’agognata conquista del mondo, secondo il “nostro progetto”, l’unico capace di rendere questo mondo finalmente migliore.
Ed ecco nascere puntualmente, immancabilmente, la “teoria del complotto”. Perché i colpevoli sono sempre gli altri.
A spiegarne la genesi ed a comprenderne il senso viene in soccorso Umberto Eco: «È solo con l’appello a una frustrazione comune (la sindrome del complotto prevede sempre un complesso di persecuzione) che si rende emotivamente necessario e comprensibile il colpo di scena finale».
Ed è lo stesso Eco a metterci in guardia, ad illustrarne la subdola pericolosità: «In genere – ha scritto in proposito – le dittature, per mantenere il consenso popolare intorno alle loro decisioni, denunciano l’esistenza di un paese, un gruppo, una razza, una società segreta che cospirerebbe contro l’integrità del popolo dominato dal dittatore».
Questo perché: «In genere ogni forma di populismo, anche contemporaneo, cerca di ottenere il consenso parlando di una minaccia che viene dall’esterno, o da gruppi interni».
E chi ha saputo creare intorno ai propri casus belli un efficace contorno di teoria del complotto non è stato solo Hitler, che sul complotto giudaico ha fondato non solo il massacro degli ebrei ma anche tutta la sua politica di conquista contro quelle che chiamava le plutocrazie demo-giudaiche massoniche.
E così, ritorna alle mente il Prof e Mignolo.
Non essendo coscienti dei propri limiti, quando non si tratti addirittura di pochezza, di mancanza di quella autorevolezza necessaria per essere riconosciuti leader, si evoca il complotto che – ovviamente – presuppone la partecipazione cosciente e volontaria di molti, la condivisione occulta di azioni estremamente differenziate, la cui scoperta e correlazione avviene enfatizzando episodi concorrenti, sebbene non correlabili fra loro. Il meccanismo psicologico è particolarmente subdolo in quanto, una volta accertato un evento, anche se insignificante o marginale, si ingenera una cascata di possibili collegamenti che si rafforzano l’un l’altro, dando la sensazione di verità anche a fatti del tutto inesistenti.
Accade facilmente in politica, quando, avviatisi verso una pericolosa discesa che va riducendo sempre più il consenso, certi Prof assumono il bisogno di individuare il nemico da combattere, il gruppo contro cui convogliare insoddisfazioni ed inadeguatezze, i vari colpevoli da indicare all’opinione pubblica come causa dei mali, propri e, di conseguenza ed a suo insindacabile giudizio, del mondo. Quel mondo verso il quale ci si era dedicati con passione per farlo crescere e migliorarlo e che invece appare irriconoscente, ingrato.
Ed allora, indomiti pur esalando gli ultimi respiri, ci si dà coraggio: “Mignolo, operiamo, andiamo alla conquista del potere. Perché noi lo facciamo per il bene comune, perché il mondo ha bisogno di noi, della nostra saggezza… anche se il mondo non lo sa!”.