Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 8 ottobre
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime/i, oggi celebriamo la 27ª domenica del tempo ordinario. Siamo sempre col Vangelo di Matteo (Mt. 21, 33 – 43) e siamo nel Tempio di Gerusalemme, nelle ultime settimane di vita terrena di Gesù.
Da tre domeniche le scritture ci parlano della vigna: tema caro ai profeti dell’Antico Testamento e tema assai vicino alla sensibilità di Gesù.
Quando Gesù e ,difatti, pronunciava questi discorsi gli ascoltatori rievocavano i numerosi testi dei Profeti antichi.
” Signore dell’universo, volgiti, guarda dal cielo e vedi e visita questa tua vigna, che tu hai piantato! (Salmo 79,5)” Sapevano bene che la vigna è il popolo di Dio, come aveva cantato Isaia profeta: “la vigna del Signore è la casa d’Israele” (Isaia 5,7).
“Per questa vigna il Signore si prende cura; il mio Diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate, in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino… (Isaia 5,1-2)
Ma torniamo a Gesù.
La parabola odierna è ambientata naturalmente in Galilea, dove esisteva, al tempo di Gesù, un diffuso latifondo in mano ai proprietari stranieri, per lo più romani. Questi risiedevano lontano, in città, ed amministravano le proprietà con l’opera di fattori (i servi), incaricati, a tempo dovuto, di riscuotere i proventi dai fittaioli. Questo sfruttamento straniero era mal tollerato e la ribellione, a volte violenta, era fomentata dagli Zeloti antiromani e nazionalisti fanatici.
Gesù utilizza per la sua parabola questa situazione estrema di cronaca per colpire la fantasia degli uditori. Non vuole fomentare il fanatismo degli Zeloti, ma fare catechesi… i vignaioli della parabola sono Scribi, Farisei, Capi del popolo; i servi inviati sono i profeti che, nei tempi, sono stati malmenati, lapidati, uccisi; la figura del padrone della vigna rimanda a Dio; il figlio è un richiamo a Lui che racconta e che, fra qualche giorno, sarebbe stato ucciso fuori vigna, sul Golgota.
“Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono… Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: avranno rispetto per mio figlio! Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”…
La vigna e sempre la vigna è il luogo dove c’è lavoro per tutti, per quelli della prima ora e per quelli dell’ultima ora, perché tutti devono portare a casa un pezzo di pane per i figli (Mt, 20,1- 16); e c’è posto per il figlio che al padre dice “no”, non vado a lavorare e, poi, cammin facendo, quel no diventa si, vado a lavorare nella vigna (Mt, 21, 28- 32); ed oggi ancora una vigna, ma una vigna insanguinata con un sangue che si mescola col dolce odore di mosto. Sangue dei servi non del figlio, perché il figlio viene ucciso fuori vigna.

Gesù è un abile parabolista. All’uccisione del figlio un brivido di commozione attraversa la folla che ascolta a tal punto che, quando Gesù domanda: che ne sarà di questi vignaioli omicidi? In coro rispondono: “farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri che gli consegneranno i frutti a suo tempo”.
C’è tanto sangue in questa parabola e, tuttavia, Gesù invita a guardare avanti: “la pietra scartata, (è Lui la pietra scartata!) è diventata pietra d’angolo: questo è stato fatto dal Signore ed è una cosa meravigliosa ai nostro occhi. Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato ad un popolo che produce i frutti”.
Risuona nel Tempio di Gerusalemme questa profezia: il regno di Dio è tolto a Scribi, Farisei, sommi Sacerdoti, Anziani del popolo e sarà dato ad un popolo nuovo… e questo popolo nuovo siamo noi e spetta a noi, quindi, la responsabilità di portare frutti se non vogliamo essere cacciati fuori; a noi ai quali, oggi, sono affidate delle vigne: la chiesa, la famiglia, la scuola, la politica e tutti quei luoghi dove i figli degli uomini soffrono e gioiscono; a noi, eredi di un capitalismo selvaggio che uccide i valori; tocca a noi difendere queste famiglie, queste vigne che “devasta il cinghiale del bosco” (salmo 79,4).
Buona domenica.
don Giuseppe Fiorillo