Il dato emerge dal rapporto della Commissione europea sull’attuazione del Codice di condotta da parte delle piattaforme social
di Maurizio Bonanno
L’epoca della post-verità, come viene oggi definita, ha declassato la verità ad elemento di secondaria importanza e, insieme al proliferare delle ideologie populiste e al potere diffusivo e divulgativo del web, ha alimentato la serialità delle cosiddette fake news.
Il problema è certamente di carattere globale, ma – purtroppo! – bisogna riconoscere che l’Italia rappresenta una sorta di avamposto in negativo. La conferma arriva da un dato inquietante che segnala un record tutto italiano: nei primi sei mesi dell’anno sono stati rimossi da Facebook oltre 45 mila contenuti perché “violavano le politiche di disinformazione dannosa per la salute o di interferenza con gli elettori nei Paesi degli stati membri dell’Ue”.
Il dato emerge dal rapporto della Commissione europea sull’attuazione del Codice di condotta da parte delle piattaforme social, in base al quale si scopre che il secondo Paese per contenuti rimossi dal social di Meta è la Germania con però meno della metà rispetto all’Italia, 22 mila contenuti. Seguono la Spagna (16 mila); i Paesi Bassi (13 mila) e la Francia (12 mila).
L’Italia è dunque il Paese europeo in cui si fa più disinformazione. Perché ? Quali le cause?
Recentemente, il Censis ha reso noto i risultati di un sondaggio in base al quale il 76,5% degli italiani ritiene che le fake news siano sempre più sofisticate e difficili da scoprire, il 20,2% crede di non avere le competenze per riconoscerle e il 61,1% di averle solo in parte; inoltre, il 29,7% nega l’esistenza delle bufale e pensa che non si debba parlare di fake news, ma di notizie vere che vengono deliberatamente censurate dai palinsesti che poi le fanno passare come false.
Se si affiancano i dati di questo sondaggio con quelli che attestano che in Italia la quota di cittadini in possesso almeno di un titolo di studio di scuola superiore è pari a 62,9%, diventa conseguenziale questo risultato, considerato che il dato relativo al titolo di studio è un valore decisamente inferiore a quello medio europeo (79,0% nell’Ue27) ed a quello di alcuni tra i più grandi paesi della stessa Unione. Inoltre, in Italia solo il 20,1% della popolazione (di 25-64 anni) possiede una laurea contro il 32,8% nell’Ue.
Dunque, l’insieme di alcuni fattori come un basso livello di scolarizzazione, una certa superficialità con cui ci si approccia all’informazione, il proliferare incontrollato dei post sui social e l’immancabile presunzione dettata da una sostanziale ignoranza, produce una miscela esplosiva che può essere facilmente cavalcata dai rinnovati movimenti populisti frutto dell’incontro tra un certo mondo politico con la comunicazione che permetta un connubio che a sua volta genera fenomeni aggressivi, verbalmente violenti, di opposizione, che sfocia nella demonizzazione di chi la pensa diversamente, con la creazione di una sorta di oligarchie – siano esse culturali, sociali o meramente economiche – in grado di esaltare disvalori, false tradizioni che coinvolgono in un modus vivendi con la relativa creazione di un corpus comunitario che aggrega.
È sicuro che lo sviluppo delle tecnologie e l’avvento del social media abbiano favorito questa dinamica intrusiva.
Ed allora, più che sull’offerta e sulla produzione di fake news, è sulla domanda che occorre concentrarsi, disincentivandola. Se i cittadini oggi non sono più in grado di distinguere una notizia vera da una falsa; se i cittadini in tutto il mondo democratico hanno perso la fiducia non solo nelle istituzioni governative – perdita che si esprime chiaramente nei voti anti- sistema o nell’astensionismo – ma anche nei servizi di informazione che sono già sottoposti a leggi, regolamenti e controlli, il problema non può essere risolto con la censura. Vanno piuttosto richiamate con urgenza e convinzione quelle regole basilari della democrazia affermando il diritto alla conoscenza.
Soltanto la conoscenza dei nostri sistemi e il rispetto pieno delle regole democratiche può fungere da antidoto alla disinformazione che nascondo il rischio di un regime, siano i regimi stranieri o interni.
Dobbiamo recuperare quei principi, che sono le fondamenta dello stato di diritto, di cui il diritto alla conoscenza è uno dei pilastri imprescindibili.