Urge un’idea realizzabile di scuola che, allo stato, non c’è e purtroppo neanche si intravede
di Alberto Capria*
Ciclicamente, come le ricorrenze, qualcuno si ricorda di disquisire del sistema scolastico finlandese, tra i modelli più evoluti al mondo, in continuo divenire ed ai primi posti nei test OCSE PISA che, come i test Invalsi, lasciano il poco tempo che trovano.
Per comprenderlo appieno occorre in primis guardare alla sua totale integrazione nel contesto socio-culturale di quel Paese; difficile che possano convivere una Scuola perfettamente funzionante ed una Pubblica Amministrazione claudicante.
La Scuola finlandese viene citata ed esaltata (anche troppo), spesso senza esaminare le peculiari differenze fra quel sistema d’istruzione ed il nostro.
In Finlandia non esistono scuole private: le scuole dell’obbligo sono pubbliche, il sistema uniforme. Tutti i bambini frequentano le stesse scuole a prescindere da: tenore di vita, fede religiosa, convinzioni politiche o livello di istruzione dei genitori. L’obbligo scolastico va dai sette ai sedici anni senza interruzioni, a differenza
dell’Italia dove i passaggi tra scuole – infanzia, primaria, secondaria di 1° grado, secondaria di 2° grado – coincidono con i momenti più critici della crescita. La continuità di nove anni consente inoltre ai docenti finlandesi di comprendere meglio capacità e potenzialità di ogni studente.
Si svolgono in media 15 gg di scuola in meno all’anno rispetto agli altri Paesi, settimana è corta (dal lunedì al giovedì 7 ore e mezza, venerdì stop alle 13), l’unità oraria di lezione è di 45 minuti perché sono previsti 15 minuti di intervallo ogni ora. I docenti trascorrono in classe 590 ore annue – la media Ocse supera le 700 ore.
Avere classi iniziali – la nostra primaria – con 7/8 allievi non costituisce scandalo.
A queste differenze preliminari se ne aggiungono altre ben più caratterizzanti.
Al termine dei 9 anni di istruzione obbligatoria – a 16 anni e con più consapevolezza – gli studenti finlandesi scelgono fra istruzione professionale e licei (3 anni). Non si valuta (promuovendo o bocciando) con l’apposizione di un voto – recentemente, ahimè, tornato di moda; il sistema prevede un supporto individuale per chi non raggiunge le competenze richieste (individualizzazione effettiva). Non esistono compiti per casa, a differenza della scuola italiana dove ancora sono purtroppo la norma, incomprensibile e miope allo stesso tempo. Avere ore libere a casa per attività extrascolastiche, egualmente formative, è considerato sacrosanto.
L’insegnamento di sostegno – che si basa sul riconoscimento delle reali difficoltà di apprendimento, sulla loro prevenzione o evoluzione piuttosto che su cause mediche – è ampliato da psicologi, medici, consulenti, assistenti sociali e altre figure ad hoc.
Il concetto di classe è superato da tempo: si lavora per gruppi di apprendimento; ogni studente può approfondire, recuperare o sviluppare un particolare talento.
Come si vede non è un problema di discipline STEM, ore ed ore di studio casalingo, avanguardie educative, transizioni digitali, digital divide, agende sud o nord, divari territoriali, ritorno al voto e PNRR. Occorre, ritornando alla pedagogia, individuare i problemi, studiarli, ipotizzare interventi di lungo termine, senza inseguire piazze; urge un’idea realizzabile di scuola che, allo stato, non c’è e purtroppo neanche si intravede.
Tranne che sui social, in alcune discutibili esternazioni e nelle …conferenze stampa!
*Dirigente Scolastico