Il momento, parlamentare ed istituzionale, di aprire gli occhi credo sia giunto: finalmente!
di Alberto Capria
Devo complimentarmi con Rosaria Succurro per la presa di posizione – tardiva e positiva allo stesso tempo – in qualità di presidente regionale ANCI.
L’autonomia differenziata sostenuta dalla Lega e notoriamente utilizzata come scambio politico governativo, esula dalla legge Costituzionale 3 del 2001 riforma del Titolo V della Costituzione ed è sorretta da errori, fra cui la citazione pedissequa del c.d. “residuo fiscale”.
Il residuo fiscale è la differenza tra quanto una regione – attraverso le tasse dei contribuenti residenti – versa nelle casse dello Stato e quanto riceve in termini di spesa pubblica. Secondo questo (sciocco) calcolo la Lombardia, per esempio, pagherebbe allo Stato miliardi di euro in più (dicono 50) di quanti ne riceve, e da qui lo scandalo! In realtà in questa narrazione qualcuno mente sapendo di mentire.
Le entrate fiscali in Lombardia, infatti, sono copiose per il semplice motivo che in tale regione (si pensi a Milano, Bergamo, Brescia, Como, Monza, Pavia) hanno sede fiscale società e aziende che operano in tutt’Italia ed in Europa.
In sostanza, il fatto che Milano sia giustamente la capitale economica italiana e fra le città più ricche d’Europa, determina in tale città un gettito che non può essere scioccamente iscritto come entrata della sola Lombardia. Il sistema fiscale italiano, infatti, mette insieme una geografia fisica e politica che, come dice Alessandro Volpi, non coincide per nulla con la geografia economica.
Altro problema: la metà delle entrate tributarie è costituito dall’Irpef che è molto cospicuo in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana, Friuli. Cosa avverrebbe alle risorse dell’erario – necessarie per scuola, sanità, servizi e welfare, trasporti – se queste regioni trattenessero il gettito Irpef? Considerazioni analoghe si possono fare per IMU o IVA.
È evidente, alla luce di ciò, che il racconto dell’autonomia che migliorerebbe efficacia ed efficienza delle amministrazioni periferiche, è solo una inequivocabile, colossale bugia.
A togliere il velo da questa finzione è stato lo stesso Ufficio Parlamentare di Bilancio, depositando in Commissione Affari Costituzionali del Senato un copioso documento, che ha provato a rispondere alla domanda fondamentale del progetto autonomista: quali regioni hanno abbastanza soldi per gestire in proprio i servizi che oggi dispensa lo Stato? Detto in maniera ancora più precisa, chi ha abbastanza capienza di gettito?
Più sono ricchi i cittadini, più tasse versano, più facile sarà ottenere l’autonomia, perché la quota di compartecipazione alle tasse dello Stato sarà abbastanza capiente da finanziare tutti i servizi trasferiti. Indoviniamo quali sono queste Regioni: Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana, Friuli.
Per comprendere cosa questo voglia effettivamente dire, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio prende in considerazione una delle materie che le regioni autonomiste possono chiedere: l’istruzione.
Per gestire questa singola materia, alla Lombardia basterebbe impegnare circa l’11 per cento del gettito fiscale delle imposte raccolte sul suo territorio. La Calabria, se mai volesse gestire in proprio l’istruzione, dovrebbe “spendere” il 50 per cento dei tributi dei suoi cittadini.
È evidente che ci sono regioni per le quali la capienza del gettito fiscale – al netto della percentuale di evasione – è un ostacolo a eventuali richieste di autonomia. In pratica ci sarà chi farà matrimoni con 20 portate e chi con… i fichi secchi.
Le Regioni del Sud non possono permettersi l’Autonomia e devono battersi affinché l’articolo 53 della Costituzione non sia disatteso in nome di “baratti politici”; e questo a prescindere dalla buona amministrazione di centro, destra o sinistra.
Si lasci il sogno leghista a ciò che è: un sogno, per l’appunto, che scompare non appena si aprono gli occhi. Il momento, parlamentare ed istituzionale, di aprire gli occhi credo sia giunto: finalmente!