La vittoria nella serata delle cover è un errore, forse una provocazione. Chi ama Napoli, la sua arte, la sua musica è oltre, al di là del Geolier di turno. Il mio pensiero in 5 punti
di Maurizio Bonanno
Siamo alle solite… se fischi un meridionale, un napoletano è razzismo. Ma mi faccia il piacere… avrebbe detto il grande Totò
Svilupperò questo mio personale ragionamento su 5 punti. Altro che razzismo.
Punto primo. I fischi ci possono stare. Perché il dissenso è legittimo ed è legittimo manifestarlo. Perché a Sanremo, in una serata musicalmente interessante come quella di ieri sera, non può vincere la cover di Gigi D’Alessio, anche se a portarla sul palco è uno dei superfavoriti come Geolier. Perché dinanzi a certe emozioni (Skin e i Santi Francesi, Irama e Cocciante, Vecchioni e Alfa, Il Volo con i Queen), emozioni fino alla commozione pura regalata da una immensa Angelina Mango; ma anche allegria e divertimento (Big Mama, Annalisa, Alessandra Amoroso…), nonché messaggi forti e riflessioni serie (Ghali, Mahmood, Mr. Rain) e pure ironia (vedi Mannoia e Gabbani), far vincere Geolier ed i suoi colleghi rap e trap con l’aggiunto del neomelodico alla D’Alessio, è stato uno sfregio musicale, una provocazione fino all’offesa.
Punto secondo. Quei fischi erano legittimati. Perché nella serata delle cover deve vincere la cover migliore, meglio orchestrata ed eseguita, più coinvolgente, meglio interpretata. E l’esibizione di Geolier non ha offerto niente di questo. Semplicemente.
Punto terzo. Si può fischiare perché sono solo canzonette ed i fischi a Geolier non sono razzismo, preconcetti perbenisti, né campanilismi territoriali.
Punto quarto. Che Geolier vinca Sanremo ci può stare (non mi piace, ma i gusti sono personali), ma che ieri sera abbia vinto la Napoli musicale di D’Alessio proprio no: è un’offesa, una provocazione. Noi amiamo la Napoli culturale dì Eduardo, di Scarpetta, dei fratelli De Filippo e di Totò, di Croce e di Maurizio De Giovanni; la Napoli musicale di Dì Giacomo, dì Caruso, di Riccardo Muti, di Pergolesi e Scarlatti; amiamo la Napoli musicale dei fratelli Bennato, dì Pino Daniele, della Nuova Compagnia di Canto Popolare, di Tony Esposito, di James Senese, Tullio De Piscopo, ma anche di giovani come The Kolors; ricordiamo con piacere il napoletano Peppino Di Capri vincitore di 2 Sanremo, il napoletano Massimo Ranieri vincitore con la sua indimenticabile “Perdere l’amore”, senza aver dimenticato le emozioni che su quel palco portò Eduardo De Crescenzo. Amiamo quelle canzoni napoletane che Arbore ha portato in giro per il mondo, ammirate e cantate da tutti in tutto il mondo. Ed allora, ci aspettavamo che i primi ad essere offesi ieri sera a Sanremo fossero i napoletani, quelli veri. Ma così va la vita… d’altronde quando il grande Eduardo De Filippo portava la lingua napoletana nei principali teatri del mondo, Napoli riempiva le piazze per Mario Merola!

Cosa avranno pensato, lassù nell’iperuranio, Enrico Caruso, Renato Carosone, Sergio Bruni, Roberto Murolo, Petito.
Punto cinque. Geolier non mi piace e mi auguro non vinca. Ma è un mio gusto, un mio pensiero, un auspicio personale, dopodiché bisogna ammettere alcune verità. Non è uno scappato di casa, non è un parvenu della musica attuale: non sta improvvisando. Prima di arrivare a Sanremo, ha girato nelle scuole campane perché è amato dai giovani; dietro di lui si muove un’organizzazione capillare, un entourage di decine di persone. Geolier a 23 anni è un tormentone su tiktok, un fenomeno su Spotify ed il suo album con quello di Lazza è tra i più venduti nel 2023. I suoi concerti sono sempre sold out, molti artisti noti hanno avuto collaborazioni con lui e scrive comunque canzoni che appaiono interessanti per il suo pubblico.
E poi… finiamola con il raccontarci le favole. Geolier arriva primo in classifica non perché i suoi fans sanno come usare i telefonini, perché ha il voto unanime dei napoletani. Il televoto pesa per il 33%. Il resto è sala stampa, radio e tv: i cosiddetti esperti, critici, addetti ai lavori.
Sanremo vive e sopravvie da 74 anni perché porta in musica la società del momento, la rispecchia, la interpreta e la rappresenta. Così come sanno fare solo le canzonette (come a suo tempo ci ricordava e ci ricorda ancora il napoletano Edoardo Bennato).